mercoledì 26 settembre 2012

QUESTIONI DI METODO: SULLE PRIMARIE

     
 Le primarie sono uno degli strumenti della partecipazione democratica, ma da sole non possono essere considerate la panacea dei tanti mali di cui soffre la politica, questo strumento è la conseguenza  della chiusura e dell’autoreferenzialità delle classi dirigenti, all’incapacità dei partiti di essere presenti nella società e di rappresentarne la sintesi  della società civile nelle sue varie articolazioni.
Ora, l’idea che un partito si fondi su una procedura e non su delle idee, una storia, un legame con una parte della popolazione, è piuttosto triste e il fatto che venga sostenuta da così tanti esponenti la dice lunga su quanto la cultura politica del nostro tempo sia decaduta.
E’ proprio perchè i partiti non sono in grado di selezionare la propria classe dirigente che essi devono indire una sorta di lotteria pubblica per scegliere i propri candidati. E’ proprio perchè i partiti non sono in grado di sviluppare al suo interno un soddisfacente dibattito ideologico e/o di mantenere un dialogo con gli intellettuali e il mondo della cultura, che deve ridursi ad essere struttura organizzativa, oggetto di scalata da parte di chi (in genere) ammanta per l’occasione di una patina ideal-pubblicitaria determinatissimi interessi.
E’ proprio perchè il partito non riesce a essere luogo di partecipazione, che si improvvisa organizzatore di “eventi” che possono essere venduti come grandi occasioni di democrazia.
E’ per questo che le primarie sono, da parte del partito, un’ammissione di impotenza. Certo, in quanto tali segnalano carenze reali e problemi gravi, ma proprio per questo non si può pensare che siano la soluzione.
La soluzione sarebbe che il partito ritornasse a fare il partito, che sviluppasse di nuovo un’organizzazione degna di questo nome, una presenza capillare nel territorio non soltanto in funzione del candidato sindaco o parlamentare di turno, che coinvolgesse nuovamente gli intellettuali, che ricostituisse delle strutture di formazione dei quadri. Certo questo dovrebbe essere accompagnato da un’opera di rinnovamento ideologico e di adeguamento delle forme di partecipazione ai tempi mutati. Ma richiederebbe ancora prima un’inversione radicale del clima di sfiducia nei confronti della politica che abbiamo vissuto negli ultimi vent’anni.
La politica e la partecipazione non sono cose che si fanno andando a happening colorati un giorno ogni tre anni. La politica è una cosa difficile. Se non si può lasciarla in mano ai “tecnici” e ai “professionisti della politica” da un lato e neppure alle  folle indistinte ( e interclassiste )  plaudenti o urlanti dei vari populismi dall’altro, bisogna riscoprire quella figura intermedia che era espressione dello sforzo concreto della persona comune di essere un cittadino consapevole, di partecipare realmente alla democrazia: la figura del militante, cutile non soltanto per friggere le salsicce agli eventi ( le vecchie feste hanno perso la loro connotazione di popolarità attiva per divenire appunto eventi di polarità passiva ).

Ciò premesso per venire sul punto concreto penso che anzitutto  si dovrebbe pensare alle elezioni quelle vere tra sei sette mesi, e non tanto  ai candidati, ma ai contenuti e ai programmi che essi propongono di portare al voto.  Siamo appena in tempo per costruire un programma che fermi la depressione italiana, crei nuovo lavoro, rilanci l’intervento pubblico, difenda il welfare e inizi una grande redistribuzione, tassando la ricchezza finanziaria e immobiliare invece del lavoro. Siamo appena in tempo per cambiare rotta. Di questo si dovrebbe parlare, ben più che di età delle persone che si candidano.
Inoltre queste primarie devono essere di coalizione e non del singolo partito, ancorché maggioritario. Quindi bisognerebbe che prima si determinasse quale coalizione, composta da quali forze politiche, quali movimenti e quali candidati che dovrebbero altresì proporre quale idea di società viene proposta per il prossimo futuro, quale linea economica, quale lavoro, su come uscire dalla crisi, quale progetto di welfare ( se c’è ancora un progetto ) quali proposte sull’ambiente, sull’uso del territorio, sulla legalità e la giustizia, sul pubblico e sul privato, sui temi etici e dei diritti civili e sociali.
Non di meno occorre che chi si candida a guidare il Paese si ponga nei confronti della coalizione con uno spirito profondamente unitario, che sappia avere  la capacità di coagulare consenso intorno a un progetto e di governarne gli esiti. Tale caratteristica  è molto meno legata al carisma personale di quanto non si creda comunemente. E’ piuttosto, in larga parte, il risultato di un esercizio quotidiano di ascolto delle diverse posizioni, di mediazione tra legittimi interessi, di paziente limatura degli inevitabili contrasti. La propensione allo scontro frontale e alla delegittimazione di chi incarna percorsi differenti dal proprio rischia non solo di rendere eccessivamente complicati eventuali accordi di governo con altre forze politiche nella e della coalizione stessa, ma anche di trasformare le primarie in un redde rationem  tra ipotetici “vecchi” e e ipotetici “nuovi”, tra chi è considerato più o meno a ragione,  burocrate o innovatore. Il che potrebbe compromettere la tenuta del partito e, soprattutto, pregiudicare il risultato elettorale.
Ecco perché ritengo personalmente molto pericoloso e francamente incoerente con l’idea stessa di democrazia responsabile e partecipata ciò che sta avvenendo nel PD.

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