giovedì 28 agosto 2014

L'ALLARME DI NOAM CHOMSKY: DEMOCRAZIE EUROPEE A RISCHIO

L’allarme di Chomsky

agosto 26th, 2014 ( dal sito http://www.giuliocavalli.net )
Chomsky“Le democrazie europee sono al collasso totale indipendentemente dal colore politico dei governi che si succedono al potere perché sono decise da banchieri e dirigenti non eletti che stanno seduti a Bruxelles. Questa rotta porta alla distruzione delle democrazie e le conseguenze sono le dittature.”
“Secondo uno studio della Oxfam, l’Ong umanitaria britannica, 85 persone nel mondo hanno la ricchezza posseduta da 3,5 miliardi di individui. Questo era l’obiettivo del neoliberismo.”
“Ciò che conta oggi è la quantità di ricchezza riversata nelle tasche dei banchieri per arricchirli. Quello che capita alla gente normale ha valore zero. Questo è accaduto anche negli Stati Uniti ma non in modo così spettacolare come in Europa. Il 70% della popolazione non ha nessun modo di incidere sulle politiche adottate dalle amministrazioni.
(Noam Chomsky, citazioni tratte dagli interventi al Festival delle Scienze all’Auditorium Parco della Musica di Roma)

martedì 12 agosto 2014

PER NON RASSEGNARCI ALL'ECONOMIA DEGLI SPECCHI E DEL DIAVOLO di Vitaliano Serra

 PER NON RASSEGNARCI ALL'ECONOMIA DEGLI SPECCHI E DEL DIAVOLO

 di Vitaliano Serra

In questi giorni, avendo più tempo a disposizione per attività meno quotidiane, ho avuto l’opportunità di leggere ( nel caso della Mazzuccato ) e rileggere ( in quello di Ruffolo ) due libri che ritengo molto importanti se si vuole capire bene cosa sta avvenendo nell’economia italiana.
Nell’uno di recente pubblicazione “Lo Stato Innovatore” di Mariana Mazzuccato ( ed. Laterza ) trattasi de l’impresa privata  che é considerata da tutti una forza innovativa, mentre lo Stato è bollato come una forza inerziale, troppo grosso e pesante per fungere da motore dinamico. Lo scopo del libro è smontare questo mito. Chi è l’imprenditore più audace, l’innovatore più prolifico? Chi finanzia la ricerca che produce le tecnologie più rivoluzionarie? Qual è il motore dinamico di settori come la green economy, le telecomunicazioni, le nanotecnologie, la farmaceutica? Lo Stato. È lo Stato, nelle economie più avanzate, a farsi carico del rischio d’investimento iniziale all’origine delle nuove tecnologie. È lo Stato, attraverso fondi decentralizzati, a finanziare ampiamente lo sviluppo di nuovi prodotti fino alla commercializzazione. E ancora: è lo Stato il creatore di tecnologie rivoluzionarie come quelle che rendono l’iPhone così ‘smart’: internet, touch screen e gps. Ed è lo Stato a giocare il ruolo più importante nel finanziare la rivoluzione verde delle energie alternative. Ma se lo Stato è il maggior innovatore, perché allora tutti i profitti provenienti da un rischio collettivo finiscono ai privati? Della stessa autrice ho postato nel mio Blog  < vitalianoserra.blogspot.it > la lettera al Presidente del Consiglio Matteo Renzi che è illuminante riguardo alla concezione di politica economica dominante nel pensiero renziano.
Nel secondo edito da Einaudi nel 2006, a mio parere addirittura “profetico” sulle ragioni profonde della crisi che stava per sopraggiungere ( 2008 ) e di cui nessuno parlava, di Giorgio Ruffolo “Lo Specchio del Diavolo”. Trattasi della breve ma caratteristica storia dell’economia capitalistica  dominata dalla finanza cui , come in un gioco di specchi, non si riesce più a distinguere la realtà dalla sua immagine. Se è il diavolo che muove la coda o la coda che muove il diavolo. Un viaggio alla scoperta di una scienza, l’economia,  che , come sostiene Ruffolo, “ dovrebbe servire all’uomo per aumentare il benessere, la ricchezza e anche la felicità dei popoli” ed invece viene trattata dal capitalismo moderno come il contesto, favorito a mio parere dal crollo miserevole, simbolicamente nel 1989, di una purchessia alternativa ideale ed ideologica , quello dell’esperienza del “comunismo realizzato in un solo Paese” in cui s’è aperta una guerra senza quartiere tra la finanza capitalistica e la democrazia, ingaggiata sfidando la politica. Sfida di cui siamo tutti ormai spettatori ed attori in gran parte inconsapevoli. Da questo libro il regista Luca Ronconi ha tratto il soggetto per uno dei cinque eventi teatrali allestiti a Torino in occasione delle Olimpiadi Invernali del 2006 nell’ambito del Progetto Domani e negli anni scorsi presentato dalla RAI.TV il 18/08/2007 per la trasmissione Palco e retropalco - Palcoscenico ( puoi guardarlo nel mio Blog “ Bisogna spegnere la prepotenza più che un incendio” : vitalianoserra.blogspot.it ).
I due libri mi sono serviti per fare una riflessione per punti sullo stato attuale delle cose in Italia.
1) la recentissima vicenda della modifica costituzionale del Senato conclusasi simbolicamente con i vistosi baci e abbracci tra le nuove pasionarie renziane, in primis la bella ministra Maria Elena Boschi, che apre la strada mal lastricata per un progressivo e ormai evidente progetto di stravolgimento della nostra  altrettanto bella Costituzione e, attraverso il rafforzamento indubbio che ne consegue del potere decisionale dell’esecutivo sul legislativo, riducendo i contrappesi di controllo e di confronto non squilibrato tra maggioranza e minoranze, e di limitazione degli spazi di democrazia politica. Esito palese la trasformazione in senso presidenzialista della nostra Repubblica. Un chiaro spostamento in senso perlomeno “meno democratico”  se non direttamente “antidemocratico” delle opzioni politiche, in funzione del prevalere della finanza sull’economia, dell’economia sulla politica e della tecnica sull’umanità, E’ un processo che del resto va via via maturando in tutta Europa e in tutte le economie e società occidentali;
2) appare oggi sempre più chiaro il perché della sconfitta ignominiosa  imposta a Bersani, e al suo progetto politico, dai dimenticati “101” della direzione nazionale PD che la notte tra il 18 e il 19 aprile 2013 bocciarono definitivamente l’ascesa alla Presidenza della Repubblica di Romano Prodi padre fondatore del PD, la successiva bocciatura della candidatura certamente più unitaria di Rodotà, e decretarono l’uscita di scena di Bersani, e in un congresso di partito mai veramente definito, ma concretamente attuato, chiusero per sempre quella fase della storia del centrosinistra italiano aprendo la strada ormai senza ostacoli all’ascesa di Renzi e del renzismo dentro e fuori del PD. Il perché sta nel fatto che l’obiettivo era molto chiaro, dare la mazzata finale a qualsiasi ipotesi ragionevolmente ravvicinata in cui la sinistra, e gli ideali politici e sociali che incarna, potesse determinare alcune scelte economiche prima ancora che politiche non funzionali al disegno finanz-capitalistico in atto in tutto il mondo: la  limitazione progressiva e non degli spazi e delle istituzioni della democrazia politica, perché oggi rappresentano ormai lacci e lacciuoli insopportabili per una concezione liberistica del potere, in cui la concorrenza intracapitalistica si fa ormai in gran parte al ribasso dei costi del lavoro anzitutto, ergo la insopprimibile necessità di abolire i diritti, ridurre il welfare, limitare la democrazia;
3) si evidenzia il limite culturale del grillismo e del “nuovissimo quanto contraddittorio” ceto politico del M5S che non avendo compreso il quadro che si stava delineando avrebbe potuto e dovuto favorire un’accordo con Bersani e il PD. In realtà una parte non minoritaria dei grillini vuole una democrazia senza partiti, senza destra e sinistra, solo movimenti No Tav, No Ponte. E chi decide sono i capi.  Ma così non funziona. Credo invece che PD e M5S avrebbero dovuto dialogare e trovare un assolutamente possibile accordo su un programma di rinnovamento progressista soprattutto sui temi economici, sociali e del lavoro, in un ottica antiliberista. E senza permettere il reingresso sulla scena politica addirittura come nuovo “padre della patria” costituzionale di Berlusconi e del berlusconismo. Grillo e Casaleggio non l’hanno mai veramente voluta neppure abbozzare questa idea, ed hanno colto al volo e con favore il fallimento di Bersani. Obiettivo anche per loro era far fuori  la sinistra.
Una pesante dose di populismo e di demagogia è servita a loro, per arrivare a milioni di persone. Altrimenti avrebbero fatto la fine dei tanti partitini che non superano il 5%. Ma una volta arrivati in Parlamento, e con una affermazione così vasta ed imprevista perfino per i loro guru,  bisognava  cambiare registro. Non è che io posso entrare in Commissione Bilancio e gridare “tutti a casa”. Bisognava mettere un freno agli slogan, entrare nella complessità. Capire come funziona la macchina, fare  proposte e su di esse cercare l’accordo e le giuste mediazioni , valutare quelle degli altri, trovare le coperture finanziarie per i provvedimenti. E  soprattutto avere una idea di Paese, una cultura di governo, un programma finalizzato a chi e per chi. È tutto complicato ma è la democrazia parlamentare. Che ha bisogno di chiarezza dei poteri, di necessarie tempistiche decisionali, ma anche di pesi e contrappesi ( controllo, partecipazione, ascolto, capacità di mediazione, insomma è la politica, è la democrazia ). La politica è una cosa seria e dovrebbe avere attori altrettanto seri.

4) Ora la sinistra è ai margini elettoralmente e culturalmente, mentre di fronte alla crisi di sistema più devastante degli ultimi 60 anni ce ne sarebbe in verità bisogno come l’aria che respiriamo ( e peraltro anche la nostra aria non è totalmente in buona salute ! ), bisogno per le classi e i ceti subalterni che  si impoveriscono sempre più e per i ceti medi che lentamente affondano anch’essi impoverendosi. Ma bisogno anche per la stessa democrazia che lentamente ma inesorabilmente capitola perdendo ad ogni passo terreno e qualità, di fronte alle perverse e potenti spinte della speculazione finanziaria, dei poteri forti delle banche e delle agenzie di rating, della rendita non solo finanziaria, e della politica decisionista e dell’uomo solo al comando.
 Ecco perché oggi più che mai la trincea è quella della difesa della Democrazia, dei suoi spazi, della sua qualità, e la battaglia in difesa strenua della nostra Costituzione antifascista risulta essere fondamentale.
 Oggi cresce una idea della politica e della democrazia in cui non ci sono partiti, ma solo informali ipotesi assembleari, la rete, il web, che però poi sottostanno all’uomo forte di turno, il più ganzo del quartiere, quello che sa parlare meglio, sa incantare di più, che ha più potere economico e di conseguenza mediatico, sa raccontare favole e suona il piffero con padronanza.
Credo che non possa funzionare, la democrazia ha bisogno di partiti, di una destra e di una sinistra. Partiti rinnovati, in cui chi ha fallito si faccia da parte. Ma pur sempre partiti. E  di sindacati, di associazioni, di corpi intermedi che rappresentino la complessità e gli interessi molteplici e spesso contraddittori presenti nella società civile, e con essi occorre dialogare, ascoltare e farsi ascoltare.

Ad una nuova sinistra serve ora una nuova generazione di militanti e di dirigenti, ma che occorre si formino nel pieno delle politiche nel e del territorio, nella difesa e nel ampliamento del welfare, nella difesa dei diritti nel mondo del lavoro, e nei confronti dello Stato, uno Stato moderno, pulito, innovatore. Occorre però e anzitutto una nuova idea di economia. Che si emancipi dal giogo degli specchi ritrovando la speranza  che l’Economia possa essere messa al servizio dell’umanità, non il contrario, salvando solo a questa condizione,  la Politica e la stessa Democrazia.

CARO PREMIER, ECCO COSA PUO' FARE LO STATO di Mariana Mazzuccato

 

Caro premier, ecco cosa può fare lo Stato

di MARIANA MAZZUCATO

CARO presidente, ho visto dai giornali che lei ha comprato il mio libro "Lo Stato Innovatore", questo mi ha suggerito l'idea di scriverle una lettera. L'Italia a crescita bassa è tornata in prima pagina. Una delle tesi del libro è che per tirarsi fuori da questo marasma è indispensabile rendersi conto di dove sta il problema.

Il problema non sta in un settore pubblico "burocratico" che in qualche modo ostacola la crescita di un settore privato altrimenti dinamico e innovativo. Il problema è che, in assenza di un settore pubblico dinamico e innovativo, la crescita nel settore privato è impossibile da ottenere.

Partiamo dal contesto: i problemi dell'Italia non derivano da un eccesso di dimensioni e di spesa riferito al settore pubblico, ma dal fatto che questo non è sufficientemente attivo e in realtà non spende quanto i suoi principali concorrenti in tutti gli ambiti fondamentali che determinano la crescita della produttività (e quindi la crescita a lungo termine del Pil), ossia capitale umano, istruzione, ricerca e tecnologia.

Il deficit italiano prima della crisi si attestava sotto la media Ue. Ma se la produttività (e quindi il tasso di crescita del Pil) è quasi ferma da 20 anni per l'assenza di investimenti di questo genere, anche con un deficit relativamente basso il quoziente debito/ Pil può continuare ad avere una crescita esponenziale (perché il denominatore è statico).

Che fare? È proprio questo l'oggetto del libro. Cosa intendo per Stato Innovatore? Intendo uno Stato che sia disposto a pensare in grande e capace di farlo, che sappia attirare i migliori cervelli nelle sue varie branche, gettare per primo le basi in nuovi fondamentali comparti ad alto rischio, che solo successivamente attireranno il settore privato. Che sia capace anche di costruire un sano rapporto simbiotico, non parassitario, tra i settori pubblico e privato, così che la crescita conseguente non sia solo "intelligente", ma anche più inclusiva.

Nel libro ricorro all'esempio dell'iPhone per sfatare i luoghi comuni sulla Silicon Valley. Tutte le tecnologie che rendono così "intelligente" quel telefono sono state finanziate negli Usa dal settore pubblico: Internet, Gps, touch screen e persino la nuova Siri a comando vocale. Lo stesso vale per le biotecnologie, le nanotecnologie e la frattura idraulica (per l'estrazione dello shale gas), tutti settori industriali frutto di decenni di investimenti pubblici che hanno preceduto gli investimenti privati.

Steve Jobs era ovviamente un genio, ma al pari di altri imprenditori statunitensi, ha "surfato" le gigantesche onde create dallo Stato. In molti paesi europei oggi non sono i surfisti a mancare, ma l'onda. E l'onda serve non solo nei comparti ad alta tecnologia, ma anche in settori affamati di rinnovamento e trasformazione, come il tessile, l'industria automobilistica e l'agricoltura.

Vale anche per l'arte, che diventerà un vero patrimonio nazionale solo quando sarà posta al centro di una strategia di crescita che utilizza i poteri della rivoluzione informatica per diffonderla e divulgarla a livello internazionale.

Il settore pubblico, ovviamente, non può fare da solo. Serve un settore privato altrettanto impegnato. Oltre ad avere uno dei tassi più bassi di spesa pubblica in R&S (riferito al Pil) l'Italia registra anche uno dei livelli più bassi di spesa privata nel settore. La responsabilità non è imputabile alla "normativa", ma all'assenza di una sana tensione tra Stato e imprese. Un valido esempio?

La Fiat attualmente non investe in motori ibridi in Italia, ma lo fa negli Stati Uniti perché Obama lo ha posto come condizione per il salvataggio dell'industria automobilistica. Ecco un altro mito che va a farsi benedire: gli Stati Uniti, la patria del libero mercato, che impongono le politiche industriali al settore privato. 

E non è certo un caso unico. Il mitico Bell Labs, uno dei laboratori di ricerca privata più innovativi, al centro della rivoluzione informatica, nacque da un teso negoziato tra lo stato e At&t, all'epoca un monopolio, in cui lo stato esigeva che gli utili privati fossero reinvestiti nell'economia "reale", in aree che creassero beni pubblici.

Anche se il libro non si incentra sulle società a capitale pubblico, bensì sul rapporto tra i settori pubblico e privato, esamina con occhio critico il genere di strategie che portarono alla nascita dell'Eni e dell'Iri, che ebbero effettivamente un ruolo chiave negli anni d'oro dell'Italia, quando agivano in accordo con la loro mis- sione e attiravano manager di massimo livello. 

Da pubbliche, ma indipendenti e guidate da esperti, furono un successo. Una volta divenute semplice appendice dei partiti politici smisero di funzionare  -  diventando il problema, non la soluzione. In realtà, ironicamente, fustigando lo Stato e spacciando la privatizzazione come panacea sarà estremamente difficile attrarre le competenze che queste istituzioni pubbliche richiedono, oggi come allora.

A capo del Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti poco tempo fa c'era un fisico premio Nobel, Steven Chu. Ha fondato Arpa-e a cui ha dato l'incarico di promuovere e finanziare la ricerca e lo sviluppo delle energie rinnovabili, come fece a suo tempo la Darpa per Internet. Anche la Germania oggi cresce non perché "tira la cinghia" ma perché ha una banca pubblica strategica, la KfW, che offre capitale paziente alle imprese e ai settori più innovativi- e di istituzioni finanziate dallo Stato come la Fraunhofer, che creano le connessioni tra scienza e industria mancanti in Italia.

Spero che queste riflessioni la incoraggino a cambiare il modo di parlare di politica economica in Italia, abbandonando i soliti discorsi che si trascinano pigri, come se il problema stesse solo nel togliere la burocrazia, nelle riforme del mercato del lavoro, e del fisco. Per arrivare invece a un dibattito nuovo che sproni i settori pubblico e privato ad un maggiore impegno mirato agli investimenti e alla crescita guidata dall'innovazione. 

Il bonus di 80 euro al mese è indubbiamente utile a molte famiglie in condizioni difficili, ma per una crescita a lungo termine dei redditi, che abbia effetti decisivi sulla domanda dei beni di consumo e sul tenore di vita, è necessaria una strategia di innovazione industriale che porti più posti di lavoro, e soprattutto ne migliori la qualità.
(09 agosto 2014)
 il commento alla lettera di Stefano Sylos Labini 


Si ma quale dovrebbe essere la conseguenza di queste interessanti riflessioni ? Innanzitutto che ENI ed ENEL le quali realizzano profitti enormi riducano i dividendi agli azionisti e aumentino le spese in R&S al 3%del fatturato puntando sulla diversificazione energetica; che la CDP si compri una bella quota di azioni Telecom per decidere le strategie di una delle poche grandi imprese H-T che sono rimaste in Italia; che Finmeccanica punti sulla R&S e la faccia finita di privatizzare; che le Ferrovie dello Stato diventino un'azienda trainante dell'economia italiana in termini di investimenti nell'innovazione e che lo Stato attraverso le poche grandi imprese che ancora controlla metta in piedi un "industria Nazionale dei Rifiuti" per la selezione, il trattamento e il riciclo dei rifiuti con impianti a tecnologia avanzata. E mi fermo qui. Peccato che il governo Renzi è un governo della destra economica e non capisce niente di economia.

Lo specchio del diavolo

Lo specchio del diavolo