lunedì 24 settembre 2012



DEDICATO AI RAGAZZI E ALLE RAGAZZE DEL GRUPPO APERTO
( e con questo scritto voglio ricordare, in modo particolare, coloro, tra questi ragazzi che volevano cambiare il mondo ed hanno cambiato la realtà in cui viveva noma che oggi che non sono più tra noi, ma restano impressi indelebilmente nella nostra memoria: Stefano Mattavelli, Flavio Pirola, Giuseppe Villa, Raffaele Cariglia )

Sono uno di quei ragazzi  di Bussero che più di 40 anni fa iniziarono insieme un percorso di vita dedicata all’ impegno civile. Bussero era poco più che un borgo, duemila anime, iniziava all’Oratorio e finiva al Circolo. Null’altro, e tanta tanta nebbia. Per chi come me veniva da Milano, una vera sofferenza. Eppure ci trovammo, prima in pochi e via via sempre di più a voler “cambiare la nostra piccola realtà”, ci guidava la tangibile speranza di poter “cambiare il mondo”. Dall’esperienza di fede oratoriana e missionaria avevamo appreso, sull’onda dell’insegnamento di Don Milani , dell’Abbé Pierre, di Maritain, dei preti della Resistenza come Don Mazzolari, e dei molti preti operai e dalle grandi personalità cristiane da Padre Turoldo a Ernesto Balducci, che allora animavano la vitale realtà post-conciliare, quella uscita dal volere del Papa “Buono” Giovanni XXIII°, che il senso vero e concreto dell’essere cristiani stava nello stare sempre dalla parte dei più deboli, dei più poveri, degli ultimi, dei più diseredati. Il salto all’incontro con il comunismo fu “naturale”, anche se ci furono dei passaggi, graduali di elaborazione personale e collettiva. Quel salto fu favorito sia dall’impatto repentino, per molti di noi, col mondo del lavoro. A 16, 17 anni lasciammo in molti la scuola diurna per fare il serale e lavorare in fabbrica, i più da operai, di giorno ( 8 ore e più di lavoro diceva allora il contratto, e poi altre 4 di scuola la sera, e  ancora almeno un'altra ora a studiare……sveglia alle 6 e a nanna all’1 di notte ) per molti di noi questa fu la vita  quotidiana da giovane per 5 o 6 anni, per alcuni poi l’università altri 4 o 5 anni. Si lavorava, si studiava e si faceva impegno sociale. Ma ci si divertiva anche se un po’ “faticosamente”: il cinema qualche volta rigorosamente in bicicletta a Cernusco, oppure  Cassano o Melzo; ma c’era pure un salone all’oratorio dove qualcuno di noi a turno passava la domenica pomeriggio impegnandosi a far funzionare una antiquata macchina cinematografica “ a  carboncini”. Talvolta, non tutti tra noi a dire il vero,  in discoteca, i primi locali per giovani ( Everest, Lunik, Samoa, Castello, Fiorani, …) e più spesso al baretto del “Bertin” dove col juke box e il flipper tra un gelato e un “piciu paciu” si  passavano le domeniche e le feste comandate, dopo la messa del mattino. E fu anche un fiorire di piccoli club per lo più utili ad ascoltare qualche “disco”, e fare qualche “festino” dove scambiare le prime forme di “conoscenza” tra ragazzi e ragazze.

La scuola di quei tempi, era una scuola classista, nel vero senso della parola, i figli di operai prima del ’68 erano “naturalmente orientati”  a fare la formazione professionale che allora si chiamava apprendistato, qualche nozione stantia e via subito in fabbrica……………naturalmente da “apprendisti”, solo dopo qualche anno,  operai comuni.  I figli dei più ricchi  ( professionisti, imprenditori soprattutto, ma anche molti artigiani e commercianti e della “piccola borghesia” ) invece e più spesso avevano il liceo,  dovevano ”naturalmente” divenire la futura classe dirigente del paese. Fu il ’68 a cambiare quella realtà fossilizzata e di “classe”,  dove il cosiddetto ascensore sociale  ai primi piani si fermava quasi sempre. Le prime lotte a scuola, i primi scioperi e manifestazioni le ho fatte, sembra ora impossibile, a 16 anni per ottenere una cosa che mi sembrava banale, ma banale non era, ottenere il laboratorio di officina con i torni e le frese, perché ci pareva, a noi giovanissimi studenti di meccanica, che avremmo dovuto diventare “capo tecnico”, quindi capi o capetti degli operai comuni, fare 5 o 6 anni di scuola e non sapere usare nella pratica , anzi  senza neppure vederli, se non in fotografia sul libro di tecnologia,  un tornio o una fresa. Altro che ideologia, c’era sacrosanto pragmatismo. Per tutta risposta fummo presi a getti d’acqua fredda o malmenati dalla polizia.
E’ in quel contesto pieno di speranza e di presa di coscienza della giustezza delle nostre idee, che maturò anche nella nostra piccola realtà, la voglia di cambiare.
Nacque il Gruppo Aperto, si proprio “aperto” perché si voleva rendere quell’esperienza un processo aperto a tutti coloro che volevano impegnarsi per migliorare il mondo a partire dalla propria realtà indipendentemente dalla loro opzione politica partitica o ideologica. Un fatto davvero  inusuale allora.  E fu subito una valanga di iniziative, l’aiuto agli “emarginati” tra cui molti bambini, che vivevano alla Cascina Gogna, gli “immigrati “di allora bresciani, meridionali, qualche veneto, e poi la lotta anche  legale con l’avvocato delle ACLI,  contro affitti salati e condizioni abitative da quarto mondo, il doposcuola gratuito per i figli dei lavoratori, ma anche il volantinaggio la notte di Natale davanti alla Chiesa per ricordare ai busseresi intenti a pensare al natale consumista che già allora imperversava,  le vittime della guerra in Viet-Nam, oppure l’autoriduzione delle bollette della luce e del gas organizzata per protestare contro gli aumenti antipopolari del governo e che porto centinaia di famiglie busseresi a pagare di meno per alcuni mesi fino all’ottenimento della riduzione, La battaglia storica  per avere una biblioteca e una dotazione di libri adeguata che non fossero la collana di Liala, e  dei luoghi dover potersi riunire in assemblea, leggere un libro, ascoltare della musica, fare teatro, svolgere attività ludiche. Battaglia che vincemmo dopo qualche anno con l’avvento al governo del paese della sinistra unita di PCI e PSI., e che ancora oggi è patrimonio dell’intera comunità. Le domeniche passate a raccogliere o sistemare rottamaglie e mobili vecchi con il nostro amico più adulto, un po’ la nostra guida morale,  Fausto Beretta alla Comunità milanese di Emmaus, e poi il teatro in pochi e senza mezzi, per giungere molti anni dopo, passando da incontri di innegabile qualità nazionale ed  internazionale come la Comuna Baires, o il Teatro del Sole, Quelli di Grock, tutte esperienze che hanno costruito nel tempo l’ossatura culturale degli attuali gruppi teatrali dal Gruppo Teatro a Caravan de Vie. Le prime battaglie organizzate delle donne e per le donne per la dignità, per la salute con l’ottenimento dei consultori familiari, per la liberazione dall’oppressione di una società profondamente maschilista, attraverso anche un loro personale e collettivo percorso di autocoscienza, teso a modificare in senso egualitario anche il tradizionale rapporto tra i sessi. Ma anche le domeniche  passate vicino ai semafori della Martesana  a raccogliere fondi e medicinali o alimentari per le organizzazioni terzomondiste come Africa 70, Mani Tese. Decine e decine di ragazzi e ragazze, che divertendosi, e in grande spirito di unità ed amicizia applicavano nella loro realtà il loro essere “cristiani davvero” perché “comunisti davvero”. Quindi la politica, il comunismo come orizzonte possibile. Alcuni di noi, (io, Valerio, Giuseppe, Giovanni, “il Frana”, “il Facco”), al seguito dell’incontro intellettuale con il gruppo di “eretici” comunisti de “il manifesto”, cacciati dal PCI nel 1971, e soprattutto con le letture della rivista omonima guidata da Magri, Rossanda, Pintor, e molti altri “maestri” del giornalismo italiano che da lì presero strada, fecero da avanguardie e nacque il gruppo de “il manifesto” che poi  esportammo in tutta la Zona Martesana con la nascita di quello che si chiamava “Intergruppi di Zona” un coordinamento teso a socializzare le esperienze di lotta e di impegno sociale che si diffuse per tutta la zona. Poi via via il PdUP fino a poco oltre la metà degli anni ’80. Quindi la diaspora nel PCI, poi PDS, DS e PD per alcuni e per altri, e di più, il Centro per l’Alternativa e ora Sinistra per Bussero, ma anche il sindacato, la CGIL, il SUNIA, oltre al lavoro, la famiglia, i figli, ora i nipoti. In una straordinaria continuità di impegno civile, sociale, politico. Per alcuni anche l’esperienza amministrativa, proficua, unitaria, onesta,  affidabile, da consiglieri comunali, da assessori.
40 anni e tanti ragazzi e ragazze che nel loro piccolo hanno fatto la “rivoluzione”. Una rivoluzione che ha modificato in profondità la cultura e la realtà locale.
La Bussero di oggi, con le sue qualità di realtà vivibile ambientalmente e socialmente solidale, amministrata bene e con onestà da 36 anni , è anche il frutto dell’impegno e della scelta di vita di quei ragazzi che 40 anni fa si riunirono in “Gruppo Aperto” per cambiare il mondo.
A quei ragazzi Bussero deve molto.

                                                                                     Vitaliano Serra


Dedicato a tutte le ragazze e i ragazzi che, anche in tempi e modi diversi,  hanno contribuito a fare, e in molti continuano a fare,  un pezzo di storia del nostro Paese:
Ada Marchesi, Adriana Sabaini, Adriano Frugoni, Adriano Mattavelli, Adriano Porcellini, Ambrogio Calloni, Antonio Mandarino, Aurelio Sardi, Carla Erba, Carlo Barlassina, Carmelina Mandarino, Claudio Barlassina. Enrico Brambillasca, Enrico Galbiati, Enrico Manfredini, Ester De Meis, Ezio Barlassina, Fausto Beretta, Flavia Marchesi, Flavio Pirola, Franca Calledda, Franco Moret, Giglio Barlassina,  Gina Romano, Giovanni Villa. Giulio Omati. Giuseppe Galbiati. Giuseppe Villa. Isabella Dozio/Cavallaro, Leonardo Serra, Maria Bambina Dozio/Cavallaro, Marino Pinti, Mario Serra, Massima Ghiani, Massimo Brambilla, Maurizio Rotta, Nicolina Ferreri. Ornella Ponzellini, Pietro Calloni, Raffaele Cariglia, Rosella Ponzellini, Rosy Spina, Salvatore Spina, Stefano Banfi, Stefano Mattavelli, Tiziano Perego, Valentino Villa, Valerio Marchesi, Vitaliano Serra……..…e occasionalmente molti altri ragazzi e ragazze di Bussero.

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