giovedì 29 maggio 2014

LE MIE RAGIONI SUL VOTO EUROPEO



Carissime/i alcune/i di voi ( e li ringrazio per l’attenzione che pongono al mio pensiero )  mi hanno chiesto conto del mio silenzio in merito alle elezioni europee. Silenzio inusuale per me che vi inondo spesso, e forse anche a sproposito, di mail su tanti argomenti politici, locali e non.  Ebbene il mio silenzio era sintomo di difficoltà a trovare una ragione ed una passione che mi permettesse di credere in una possibilità di cambiamento nell’ambito dell’offerta  presente oggi sul “mercato” della politica. Ebbene dopo quasi 40 anni dal mio primo voto ( ndr. al PdUP ) non ho partecipato alle competizione elettorale. Sono uno tra quel 40% e oltre di astenuti, e per darmi una giustificazione me ne sono andato al mare a Livorno, in Toscana, la Toscana oggi più che mai del PD e di Renzi, da mio figlio. Decisione tormentata e contraddittoria con tutta la mia storia politica e i miei valori di fondo fortemente e tenacemente costituzionali. Non sono mai stato un’indifferente. Ho ritenuto necessario questo stop per riflettere sul che fare di fronte alle trasformazioni epocali che stiamo vivendo. Ma la necessità di riflettere è però cominciata il 25 febbraio dello scorso anno, ( il 2013 )  con la  risicatissima “vittoria” del PD e soprattutto dopi i 52  giorni di agonia del tentativo di Bersani di dare una svolta a questo Paese senza “arrotolare “ le bandiere della sinistra dell’uguaglianza e la “pugnalata” politica che gli ancora “innominati ed innominabili” 101 ( e forse più ) della Direzione PD diedero a Bersani facendo fuori nel breve volgere di una notte sia lui che il padre  fondatore Prodi e subito dopo la sola ipotesi ragionevole di contatto con il M5S con il diniego alla candidatura alla Presidenza della Repubblica di una figura di assoluta preminenza costituzionale e democratica come quella di Rodotà. Il resto è venuto da sé con la preventivata, incontrastata e scontata vittoria di Matteo Renzi alla Segreteria del PD. Tralascio poi la brevissima meteora lettiana con la sua forzosa eliminazione in culla. Ebbene proprio nel momento di questa mia personale e dolorosa scelta è successo il terremoto, Renzi non ha solo vinto, ma ha stravinto e questo ha già cambiato moltissimo del quadro politico. E' inutile dire: ma sono elezioni europee contano poco nelle scelte nazionali. Stupidaggini. Sono elezioni e in queste elezioni un partito ha preso il 40 per cento, come la Dc ai vecchi tempi, più che qualunque altra formazione politica negli ultimi decenni. E ha conquistato 15 punti in 15 mesi. Renzi può essere simpatico o antipatico ( a me non piace, ne diffido intimamente in quanto esprime senza dubbio alcuno una cultura liberista) ma è riuscito in questa impresa. Chapeau ! Adesso come tanti, mi chiedo che cosa farà dopo questo risultato ma, soprattutto che farà del Pd. Il terremoto riguarda, infatti, anche l'identità del partito del presidente del consiglio ( oggi più che mai )  che, del resto, di sommovimenti ne ha già subiti parecchi.
Quando parlo di identità del PD non mi riferisco agli equilibri interni,oggi francamente irrilevanti, pur con la stima che ripongo verso Civati e Cuperlo,e neppure ai pericoli di nuove rottamazioni, anch'esse trascurabili, ma alla sua collocazione, a ciò che rappresenta o meglio, che può rappresentare nel panorama politico italiano ed europeo, agli interessi e al blocco sociale di riferimento di cui si vorrebbe fare portavoce e tutelare.
In questo quaranta per cento di voti c'è sicuramente il vecchio PD, quello che ha resistito alla prima rottamazione, ci sono molti voti giovani, ci sono i voti provenienti da un centro destra deluso, quelli dei grillini spaventati, ci sono i voti utili di chi in altre circostanze avrebbe scelto un'altra formazione politica, quelli di chi sta nei sindacati e di chi li detesta, di chi pensa che Renzi sia il naturale erede di Berlusconi e di chi inneggia ad un nuova e più moderna sinistra. Insomma un bel pout pourri, un miscuglio davvero sorprendente di idee e di aspettative. Ma si tratta di un volto indefinito, privo di una sia pur provvisoria identità. E forse in questo polpettone di interessi e di aspettative pare prevalere una ipotesi politicamente neocentrista ed economicamente , appunto, liberista.
Anche se, citando dall'ultimo post di Keynesblog.it, "non può che far piacere ascoltare da lui, proprio in questi giorni, un aggettivo – keynesiano – che tra i suoi amici liberisti suscita l’orticaria. Il vantaggio (potenziale) della democrazia rispetto alla tecnocrazia è che la prima elegge dei politici, i quali devono tener conto dei desideri e delle aspettative degli elettori se desiderano essere rieletti, mentre la seconda è sempre preda della “moda” teorica del momento o, peggio, degli interessi del mondo da cui i tecnocrati stessi provengono: raramente coincidenti con il benessere dei lavoratori e della classe media, molto più spesso esattamente opposti, come abbiamo visto proprio nel caso dell’Unione Europea.
Renzi sa bene che questa volta gli è andata bene, molto bene, oltre ogni aspettativa. Ma nulla vieta che, se le speranze che l’elettorato ha riposto in lui dovessero venire deluse, anche l’Italia potrebbe spostarsi tra i paesi più euroscettici.
Il voto di domenica ha quindi dato forza al leader del PD ma lo ha anche caricato di una responsabilità gravosa. Le prime parole pronunciate dopo la vittoria sono ben auguranti. Tra queste, la proposta di una riforma delle regole europee per scomputare gli investimenti dal deficit e consentire così uno stimolo di 150 miliardi in 5 anni. Una cifra significativa". Vedremo se alle parole seguiranno i fatti.

Qualcuno ha già paragonato il nuovo PD di Renzi alla vecchia Dc: interclassismo, tendenza ad una modesta, seppure concreta redistribuzione del reddito, laica prudenza sui temi etici. Non credo. La DC era comunque schierata da un parte precisa del mondo dei blocchi e poteva gestire insieme redistribuzione e conservazione e quindi l'interclassismo, perché il paese viveva un periodo di sviluppo e di crescita. Renzi si muove in un altro panorama economico e sociale. Molto, ma molto più difficile e complesso.
Ma il PD del quaranta per cento sta scomodo anche nell'alveo pur ampio del socialismo e della socialdemocrazia europea che oggi subisce crisi profonde, appare incapace di uscire dalle sue difficoltà, ma mantiene una sua differenza formale dal blocchi conservatori nazionali ed europei. E anche dalle formazioni di sinistra radicale, ecologiste, femministe che, di volta in volta le si affiancano. Questo partito del quaranta per cento non ha una identità che possa coincidere con le socialdemocrazie. Forse può ricordare il partito democratico americano, ma l'Italia non è l'America. E' anomalo, spurio, oggi ciascuno può sperare di trovarci quel che desidera. Ma fra qualche giorno? qualche settimana? qualche mese? Allora a questo insieme di passioni, paure, illusioni, certezze, entusiasmi occorrerà pur dare un volto. Ecco, mi chiedo che volto sarà. Tutto  ciò rende più e non meno “ragionevole” la mia astensione.
Non so, ma me pare che anche  a sinistra del PD le cose non siano andate bene, politicamente ed anche elettoralmente parlando, sia quando c'è stata una alleanza con il PD sia quando non c'è stata. Tranne in casi particolari, che sono, appunto, l'eccezione e non la regola. E francamente non credo che il risultato della Lista Tsipras, (che sono stato fino all’ultimo tentato di votare e che ho perfino propagandato in qualche modo durante la difficile e cointrocorrente campagna elettorale),  alle europee possa essere considerato la soluzione. La lista ha preso il 4.03% e ha superato di un soffio la soglia. E' un risultato certamente importante, visti i tempi, ma  di pura  sopravvivenza e di testimonianza, nulla di più, non raccontiamoci storie. Questo al di là delle persone per bene che lo hanno con vigore e passione, in mezzo a tante difficoltà, rappresentato a partire dal leader Alexis Tsipras che è un ottima scelta, anche  per quel che rappresenta col  venir fuori dal Paese che più di tutti in Europa a pagato il prezzo delle politiche liberiste di austerità a senso unico. Quindi, ne deduco, non mi pare che il problema fondamentale siano le alleanze. Mi pare che i problemi fondamentali siano il progetto politico, la cultura politica, la fisionomia della sinistra. Cose che non si risolvono nemmeno con il mantra del "costruiamo la Syriza italiana"- Insomma, secondo me, è la mia opinione personale, ci serve una sinistra popolare di governo, portatrice di un progetto di riformismo radicale, radicata sul territorio, capace di produrre costantemente iniziativa politica, capace di seminare cultura politica, in grado di parlare non a piccoli gruppi ma ai cittadini italiani, a partire da coloro i cui interessi economici e sociali si intende rappresentare.  Ci vorrebbe, credo, qualcosa che assomigli al PCI ( quello di Berlinguer ) e al PSI ( quello di Pertini )  messi assieme. Quanto ai grillini credo che  abbiano raccolto quel che hanno seminato in questo anno, cioè l’isolamento fatto dogma, il pluralismo interno ridicolizzato, l’uso di linguaggi virulenti e diseducativi, il congelamento inconcludente di ben 8 milioni di voti, l’evidenziarsi di grossi limiti formativi nel quadro politico a tutti i livelli, l’ambiguità delle ipotesi programmatiche e la confusione nell’ipotesi culturale “né di destra né di sinistra”.
Renzi è oggi sulla cresta dell'onda ma è il vuoto di prospettive e la mancanza di una proposta di respiro strategico per riformare l'Europa a  gettare  ombre cupe non tanto sulla sua leadership e forse a condannarlo probabilmente a sgonfiarsi, forse,  altrettanto rapidamente. Il che succederà inevitabilmente non appena Renzi dovrà fare i conti con quella governance europea che forse immagina di riuscire a conquistare con la stessa facilità, superficialità e disinvoltura con cui si è impadronito, gli uni dopo le altre, di primarie, partito, governo ed elettorato. Ma là, invece, c'è la "scorza dura" dell'alta finanza, dei poteri economici forti che Renzi non si è mai nemmeno sognato di voler intaccare ( non a caso personaggi come Davide Serra ed altri come lui lo appoggiano senza riserve, anzi sono parte strutturale del suo entourage culturale ), ma che non è certo disposta a concedergli qualcosa che vada al di là di un sostegno formale e simbolico. Ed è proprio lì che si installa l’inevitabile deriva neoliberista che persegue il nostro ormai incontrastato leader, che vuole togliere di mezzo ogni livello intermedio di democrazia, sindacati per primi, per renderli residuali e per marginalizzare il conflitto di classe che la crescita delle diseguaglianze, non affatto destinate a ridursi, renderà inevitabili. E per destrutturare almeno alcuni dei principi fondanti della nostra Costituzione repubblicana ed antifascista. Non basteranno certo 80 € al mese, peraltro concessi oggi solo ad una parte degli aventi diritto a sanare le ferite dell’ineguaglianza e della carenza di reddito di milioni di cittadini e di famiglie, e pure di imprese. Occorrerebbe invece un piano di forte redistribuzione di reddito dalla rendita al lavoro, un grande progetto politico  per “rimettere le persone al centro”il che  significa considerare come preminente la qualità della loro vita riconoscendo che esse non sono la causa della crisi, ma l’oggetto, come afferma l’economista Mario Pianta nel suo bel libro “Nove su Dieci – Perché stiamo (quasi) tutti peggio di 10 anni fa” Ed. Laterza:  “Dopo decenni di politiche che hanno creato disoccupazione, precarietà e impoverimento, serve mettere al primo posto la creazione di un’occupazione stabile, di qualità, con salari più alti e la tutela dei redditi più bassi”.L’attenzione dell’azione politica va spostata sulle condizioni di vita dei lavoratori, non solo di chi un lavoro ce l’ha (e lo vuole mantenere), ma anche di chi questo lavoro non ce l’ha, non lo può avere, lo ha perso senza ritrovarlo o senza poterlo ritrovare. Di fronte a questa priorità, l’economia è un vincolo con cui fare i conti, ma non l’obiettivo al quale subordinare la vita sociale: la contrapposizione con la visione della politica economica corrente non potrebbe essere più drastica. E’ il liberismo che è vecchio, antimoderno e sarebbe da mettere in soffitta. La Sinistra deve e può ripartire da qui. E forse lo spero riprenderò a votare.
Come scriveva Robert Musil  nel suo “L'uomo senza qualità”:
“Chi voglia varcare senza inconvenienti una porta aperta deve tener presente il fatto che gli stipiti sono duri: questa massima alla quale il vecchio professore si era sempre attenuto è semplicemente un postulato del senso della realtà. Ma se il senso della realtà esiste, e nessuno può mettere in dubbio che la sua esistenza sia giustificata, allora ci dev'essere anche qualcosa che chiameremo senso della possibilità.
Negarsi la possibilità di un altro mondo, fare le cose come le abbiamo sempre fatte (le stesse cose, nello stesso modo), ribadire uno schema pur sapendolo fallimentare, insistere su percorsi sbagliati significa avere paura, annichilire le speranze. Significa rinunciare alla critica, che è quasi tutto, soprattutto quando le cose, palesemente, non funzionano. Vuol dire, alla fine, dire che la politica non serve a nulla. Tutto è già deciso, stabilito, definito. E invece le alternative servono a pensare, servono a vivere”.

28 maggio 2014

Vitaliano Serra