giovedì 15 ottobre 2015

La globalizzazione e il partito-padrone

La globalizzazione e il partito-padrone

di Paolo Favilli
«Par­tito dei padroni», «Servo dei padroni»: si tratta di espres­sioni che hanno accom­pa­gnato per lungo tempo l’agire politico/sindacale della grande mag­gio­ranza delle forme orga­niz­zate delle classi subal­terne sia nei momenti di resi­stenza, sia in quelli (pochi) favo­re­voli all’offensiva. In genere quasi tutte le espres­sioni uti­liz­zate come stru­menti di bat­ta­glia, nel con­te­sto di una lotta di classe espli­cita, si carat­te­riz­zano per il forte valore emo­tivo e l’impreciso valore deno­ta­tivo. Non che i «padroni delle fer­riere» non fos­sero chia­ra­mente indi­vi­dua­bili, ma nep­pure quando essi for­ma­vano la parte più evi­dente del domi­nio del capi­tale, tale domi­nio si esau­riva in quella forma.
Nei periodi in cui, però, la tipo­lo­gia del «padrone delle fer­riere» era quella più imme­dia­ta­mente visi­bile anche i «par­titi dei padroni», i «servi dei padroni» si tro­va­vano ad avere una con­fi­gu­ra­zione pre­cisa nella catena del domi­nio. Si con­fi­gu­ra­vano come stru­menti poli­tici di ser­vi­zio (servi appunto) rispetto a stra­te­gie neces­sa­rie che ave­vano come input la sfera del potere eco­no­mico. Il modello inter­pre­ta­tivo rima­neva forse appros­si­ma­tivo, ma non era cer­ta­mente stac­cato dalla realtà.
Oggi il termine «padrone» è scomparso dal lessico politico ed anche da quello sindacale.
Nello stesso tempo i modi del «domi­nio» sono diven­tati sem­pre più per­va­sivi. Un «domi­nio» senza domi­nus (padrone) è, mani­fe­sta­mente, una incon­ce­pi­bile con­trad­di­zione. Il fatto che i padroni siano scom­parsi dall’uso lin­gui­stico e siano invece ben pre­senti nella mate­ria­lità dei rap­porti sociali è un’ulteriore prova di «domi­nanza ideologica».
Per la verità uno dei mas­simi lin­gui­sti oggi viventi, Noam Chom­sky, ha inti­to­lato I padroni dell’umanità (The masters of Man­kind) un suo recen­tis­simo libro. Egli usa il ter­mine come ele­mento coes­sen­ziale alla cate­go­ria di «domi­nio», pro­prio come aveva fatto anche Adam Smith, quando una scienza eco­no­mica agli inizi era ancora stru­mento di cono­scenza reale.
Il ter­mine, inol­tre, è ancora molto usato nell’ambito della scienza sociale cri­tica, ed invece assente dalla sfera poli­tica. Ed appunto qui è il nodo: si può ancora par­lare di una sfera poli­tica «serva dei padroni»?
Penso che sia neces­sa­rio riflet­tere di nuovo sull’analisi che Michel Fou­cault, in un libro di più di quarant’anni fa (Micro­fi­sica del potere), eser­ci­tava sulle forme di eser­ci­zio del potere nell’ambito del modo di pro­du­zione capi­ta­li­stico. L’analisi di Fou­cault, si muove all’interno delle orga­niz­za­zioni reti­co­lari tra­mite le quali il potere si distri­bui­sce in tutto il corpo sociale. Su que­sto aspetto, la «micro­fi­sica» appunto, si è con­cen­trata l’attenzione della mag­gior parte della pub­bli­ci­stica. Nello stesso tempo, però, lo stu­dioso fran­cese sot­to­li­nea come le carat­te­ri­sti­che spe­ci­fi­che di quel mec­ca­ni­smo di domi­nio reti­co­lare siano la con­se­guenza di un modo di pro­du­zione, di «un sistema eco­no­mico che favo­ri­sce l’accumulazione di capi­tale ed un sistema di potere che comanda l’accumulazione degli uomini». E più recen­te­mente il socio­logo tede­sco Ulrich Beck ha soste­nuto che è nella «logica del capi­tale» la ricerca della pro­pria legit­ti­ma­zione mediante non tanto «l’economicizzazione della poli­tica, ma la poli­ti­ciz­za­zione dell’economia».
Nell’attuale fase di accu­mu­la­zione nel «par­tito dei padroni», cioè la «parte» che eser­cita il domi­nio, sia pure «reti­co­lare», sull’insieme del corpo sociale, la distin­zione tra eco­no­mia e poli­tica è esclu­si­va­mente fun­zio­nale. Per fare solo un esem­pio, il set­tore indu­striale dei com­bu­sti­bili fos­sili, secondo uno stu­dio del Fondo Mone­ta­rio inter­na­zio­nale, riceve con­tri­buti pub­blici, cioè poli­tici, che assom­mano a circa cin­que­mila miliardi di dol­lari l’anno. D’altra parte se pen­siamo al grado di finan­zia­riz­za­zione del sistema eco­no­mico ed ai livelli di soste­gno del sistema pub­blico, cioè poli­tico, di cui ha goduto negli ultimi anni, un livello tale che ha indotto nume­rosi ana­li­sti a par­lare più di «capi­ta­li­smo di stato» che della favola del «libero mer­cato», la com­pe­ne­tra­zione tra le due sfere risulta essere dato di fatto dif­fi­cil­mente con­tro­ver­ti­bile. E qui ci rife­riamo uni­ca­mente ad inie­zioni di denaro, ma la dimen­sione poli­tica forse più impor­tante è la costru­zione stessa, del tutto poli­tica, di quella che chia­miamo «glo­ba­liz­za­zione» e che altro non è che cor­nice, ed in gran parte anche qua­dro, dell’attuale fase di accu­mu­la­zione del capitale.
Quindi quando noi par­liamo di «par­tito dei padroni» con rife­ri­mento alla sfera poli­tica, dob­biamo avere ben chiaro che ci rife­riamo a forze atti­va­mente e con­vin­ta­mente com­par­te­cipi tanto della costru­zione che del radi­ca­mento delle logi­che di tale fase. In Ita­lia lo spa­zio di cui stiamo par­lando è molto affol­lato, ma la forza più moderna, coe­rente, dotata di capa­cità e di pos­si­bi­lità deci­sio­nale è il Pd, che attual­mente si iden­ti­fica con il suo domi­nus primo: Mat­teo Renzi.
Il pro­cesso di eman­ci­pa­zione dei subal­terni si è svolto attra­verso l’ampliamento pro­gres­sivo dei diritti, che signi­fica amplia­mento pro­gres­sivo della demo­cra­zia, con­su­stan­ziale al pro­getto di tra­sfor­ma­zione della plebe in popolo. Il «par­tito dei padroni» è il pro­ta­go­ni­sta del pro­cesso inverso. Tutti gli atti fon­da­men­tali del governo Renzi si iscri­vono con per­fetta con­nes­sione in tale svolgimento.
Il «par­tito dei padroni» non rap­pre­senta né «serve» i padroni. I suoi diri­genti sono «padroni». Natu­ral­mente in un mec­ca­ni­smo di dif­fu­sione reti­co­lare del domi­nio si è «padroni» a livello diverso. Il diverso livello, le ammi­ni­stra­zioni locali ad esem­pio, e nel loro ambito la diver­sità dei comuni e delle regioni, non com­porta nes­suna fuo­riu­scita dalle logi­che domi­nanti del «par­tito». Per­ché la dif­fu­sione reti­co­lare è del tutto interna a pro­cessi che hanno ormai una lunga sto­ria ed un radi­cato sistema di rela­zioni tra le diverse fun­zioni dell’esercizio del «domi­nio». Al mas­simo sono pos­si­bili aggiu­sta­menti tat­tici e di posizionamento.
La costru­zione di una forza poli­tica anti­te­tica ai modi dell’accumulazione in corso, può reg­gere l’alleanza con la dimen­sione locale del «par­tito dei padroni»?

Fonte: il manifesto

Originale: http://ilmanifesto.info/la-globalizzazione-e-il-partito-padrone/

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