domenica 28 dicembre 2014

Lavoro zero Pubblicato il 24 dicembre 2014 · in alfapiù, società G.B. Zorzoli

Lavoro zero

Pubblicato il 24 dicembre 2014 · in alfapiù, società 

G.B. Zorzoli
La rivoluzione digitale ha già comportato la distruzione di milioni di posti di lavoro, ma ce n’est qu’un debut: ad esempio le banche europee hanno digitalizzato fra il 20% e il 40% delle loro procedure, con la piena digitalizzazione ridurranno del 20-25% il numero di impiegati. Nei prossimi vent’anni, quasi metà di chi lavora nelle libere professioni potrebbe essere sostituito da tecnologie digitali. Anche la maggior parte degli analisti che considerano positiva la metamorfosi in corso, ammettono che per un periodo relativamente lungo avremo più distruzione che creazione di posti di lavoro.
«Growth without jobs» è il titolo dell’editoriale della direzione del “New York Times”, pubblicato l’1 agosto 2014. Malgrado l’eccezionale crescita del PIL nel secondo trimestre dell’anno (+4%), «per il quinto mese consecutivo la settimana lavorativa media è rimasta ferma a 33,7 ore. Gli straordinari, che una volta rappresentavano un sostegno sicuro per i lavoratori americani, in luglio è crollato per il secondo mese consecutivo. Nella migliore delle ipotesi, il salario orario medio nell’ultimo anno ha tenuto il passo con l’inflazione… Fra i giovani che riescono a trovare lavoro, molti hanno impieghi part-time o nella fascia retributiva bassa, nei quali non utilizzano le competenze acquisite negli studi o nelle precedenti esperienze professionali».
Concorda il presidente della Federal Reserve Janet Yellen, che il 22 agosto 2014, al summit fra i responsabili delle banchi centrali, ha definito «fragile» il mercato del lavoro americano: eccesso di disoccupati di lunga durata, troppi posti di lavoro part-time imposti da ragioni economiche e non da scelte volontarie. Queste valutazioni sono confermate dall’OCSE: l’indice Gini (se vale zero indica la massima uguaglianza, se vale uno la massima disuguaglianza) negli Stati Uniti è pari a 0,38, contro 0,34 in Italia, 0,30 in Germania, 0,29 in Francia e Olanda. E, sempre negli Stati Uniti, il 10% più ricco della popolazione ha un reddito 5,9 volte quello del 10% più povero (4,3 in Italia, 3,5 in Germania, 3,4 in Francia, 3,3 in Olanda).
Il denaro affluisce infatti sempre di più verso il capitale e sempre meno verso il lavoro, ricreando una polarizzazione sociale, dove al vertice stanno gli happy few del potere reale, soprattutto finanziario. La quota di ricchezza in mano all’1% che sta al vertice, è cresciuta in USA dal 9% degli anni ’70 del secolo scorso all’attuale 22%. Ed è l’1% ai vertici della scala sociale a orientare gli investimenti, quindi lo sviluppo di una società sempre più disarticolata in termini professionali e umani. Secondo la cruda definizione del sociologo David Graeber, i posti di lavoro si dividono ormai in due categorie: i pochi possessori delle competenze richieste dal mercato e l’enorme massa dei bullshit jobs.
Non stiamo dunque assistendo alla fine del lavoro, ma all’abolizione crescente di quelli che richiedono competenze specifiche, sostenute da buona manualità o da una normale capacità intellettuale. Si sta configurando un sistema economico dove, accanto a un numero limitato di creativi altamente qualificati, che nei settori high tech svolgeranno attività a loro volta minacciate da repentina obsolescenza, serviranno sempre di più soltanto persone da impiegare in lavori che non richiedono particolari professionalità. Potendo pescare in una platea molto più vasta di donne e uomini in cerca di occupazione, precarietà e bassa retribuzione saranno le caratteristiche dominanti.

Poiché alla lunga una situazione del genere rischia di far saltare il banco, in assenza di cambiamenti radicali si andrà necessariamente verso l’adozione di strumenti come il reddito di cittadinanza; ovviamente di entità contenuta e condizionato dall’accettazione, quando serve, di lavori occasionali. Cambiamenti radicali hanno però come prerequisito proposte alternative credibili, cioè in grado di fare i conti, concretamente, con la complessità dell’odierno assetto sociale., di cui oggi si avverte drammaticamente l’assenza.

The Opinion Pages | EDITORIAL from NEW YORK TIMES

Growth Without Jobs

In a statement last Wednesday — just hours after the government reported headline-grabbing economic growth of 4 percent in the second quarter — the Federal Reserve said it would continue to stimulate the economy because, despite overall growth, the labor market remained weak. In a speech the same day in Kansas City, Mo., President Obama echoed the Fed. “I’m glad that G.D.P. is growing, and I’m glad that corporate profits are high, and I’m glad that the stock market is booming,” he said, (which it was before profit-taking at week’s end dented its performance). “But what I really want to see is a guy working 9 to 5, and then working some overtime.”
Those cautionary views were validated on Friday, when the employment report for July showed slower job growth, flat earnings, stagnant hours and stubbornly high long-term unemployment. The challenge now, as always, is to translate official concern over the job market into change for the better.
The economy added 209,000 jobs last month, a decent enough figure in and of itself, but a slow start to the third quarter compared with the average monthly gain of 277,000 last quarter. Worse, July’s relatively slow pace of growth may not be sustainable. Many of last month’s job gains were in automobile manufacturing, which could reflect a statistical blip from shorter-than-usual factory shutdowns in July rather than new positions added.
Moreover, the upswing in the auto industry is tied to a surge in high-cost auto loans to uncreditworthy borrowers, an unstable foundation for future growth. In addition, the sectors that generally add the most jobs each month all slowed in July from their pace in June, including bars and restaurants, retail, health care and temporary services. As for the president’s vision of a 40-hour week plus overtime — well, if only. For the fifth straight month, the average workweek for most of the labor force was stuck at 33.7 hours. Factory overtime, once a mainstay in the lives of working-class Americans, dropped in July for the second straight month. Average hourly wages have, at best, kept pace with inflation over the past year. Pay is languishing, but working longer hours is not an option.
In its statement, the Fed said it was basically a tossup whether the economy would speed up or slow down. Faster growth, however, generally requires a healthy real estate market and that requires a healthy job market, especially for younger workers.
But in July, the jobless rate for workers ages 25 to 34 was 6.6 percent, compared with 6.2 percent over all. Among young people who are working, many are in low-wage or part-time jobs, or jobs that otherwise do not make use of their education or experience. So it is not surprising that the sale of new homes plummeted recently at the fastest pace in nearly a year. Sales of existing homes have risen, a positive sign but a questionable trend given the still-ailing job market.

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