lunedì 30 marzo 2015

Nella cabina di pilotaggio on 30 Marzo 2015. di FRANCO BIFO BERARDI

Nella cabina di pilotaggio

on .
di FRANCO BIFO BERARDI
Dicono che il giovane pilota Andreas Lubitz avesse sofferto di crisi depressive e avesse tenuto nascoste le sue condizioni psichiche all’azienda per cui lavorava, la Lufthansa. I medici consigliavano un periodo di assenza dal lavoro. La cosa non è affatto sorprendente: il turbo-capitalismo contemporaneo detesta coloro che chiedono di usufruire dei permessi di malattia, e detesta all’ennesima potenza ogni riferimento alla depressione. Depresso io? Non se ne parli neanche. Io sto benissimo, sono perfettamente efficiente, allegro, dinamico, energico, e soprattutto competitivo. Faccio jogging ogni mattina, e sono sempre disponibile a fare straordinario. Non è forse questa la filosofia del low cost? Non suonano forse le trombe quando l’aereo decolla e quando atterra? Non siamo forse circondati ininterrottamente dal discorso dell’efficienza competitiva? Non siamo forse quotidianamente costretti a misurare il nostro stato d’animo con l’allegria aggressiva delle facce che compaiono negli spot pubblicitari? Non corriamo forse il rischio di essere licenziati se facciamo troppe assenze per malattia? 
Adesso i giornali (gli stessi giornali che da anni ci chiamano fannulloni e tessono le lodi della rottamazione degli inefficienti) consigliano di fare maggiore attenzione nelle assunzioni. Faremo controlli straordinari per verificare che i piloti d’aereo non siano squilibrati, matti, depressi, maniaci, malinconici tristi e sfigati. Davvero? E i medici? E i colonnelli dell’esercito? E gli autisti dell’autobus? E i conducenti del treno? E i professori di matematica? E gli agenti di polizia stradale? 
Epureremo i depressi. Epuriamoli. Peccato che siano la maggioranza assoluta della popolazione contemporanea. Non sto parlando dei depressi conclamati, che pure sono in proporzione crescente, ma di coloro che soffrono di infelicità, tristezza, disperazione. Anche se ce lo dicono raramente e con una certa cautela l’incidenza delle malattie psichiche è cresciuta enormemente negli ultimi decenni, e il tasso di suicidio (secondo il rapporto del World Health Organization) è cresciuto del 60% (wow) negli ultimi quarant’anni. 
Quaranta anni? E che potrà mai significare? Che cosa è successo negli ultimi quarant’anni perché la gente corra a frotte verso la nera signora? Forse ci sarà un rapporto tra questo incredibile incremento della propensione a farla finita e il trionfo del Neoliberismo che implica precarietà e competizione obbligatoria? E forse ci sarà un rapporto anche con la solitudine di una generazione che è cresciuta davanti allo schermo ricevendo continui stimoli psico-informativi e toccando sempre di meno il corpo dell’altro? Non si dimentichi che per ogni suicidio realizzato ce ne sono circa venti tentati senza successo. E non si dimentichi che in molti paesi del mondo (anche in Italia) i medici sono invitati a essere cauti nell’attribuire una morte al suicidio, se non ci sono prove evidenti dell’intenzione del deceduto. E quanti incidenti d’auto nascondono un’intenzione suicida più o meno cosciente? 
Non appena le autorità investigative e la compagnia aerea hanno rivelato che la causa del disastro aereo sta nel suicidio di un lavoratore che ha sofferto di crisi depressive e le ha tenute nascoste, ecco che in Internet si è messo in marcia il solito esercito di cospirazionisti. “Figuriamoci se ci credo”, dicono quelli che sospettano il complotto. Ci deve essere dietro la CIA, o forse Putin, o magari semplicemente un gravissimo errore della Lufthansa che ci vogliono tenere nascosto. Un vignettista che si firma Sartori e crede di essere molto spiritoso mostra un tizio che legge il giornale e dice: “Strage Airbus: responsabile il copilota depresso.” Poi aggiunge: Fra poco diranno che anche l’ISIS è fatta da depressi.” 
Ecco, bravo. Il punto è proprio questo: il terrorismo contemporaneo può avere mille cause politiche, ma la sola causa vera è l’epidemia di sofferenza psichica (e sociale, ma le due cose sono una) che si sta diffondendo nel mondo. Si può forse spiegare il comportamento di uno shaheed, di un giovane che si fa esplodere per uccidere una decina di altri umani in termini politici, ideologici, religiosi? Certo che si può, ma sono chiacchiere. La verità è che chi si uccide considera la vita un peso intollerabile, e vede nella morte la sola salvezza, e nella strage la sola vendetta.
Un’epidemia di suicidio si è abbattuta sul pianeta terra, perché da decenni si è messa in moto una gigantesca fabbrica dell’infelicità cui sembra impossibile sfuggire. Quelli che dappertutto vedono un complotto dovrebbero smetterla di cercare una verità nascosta, e dovrebbero invece interpretare diversamente la verità evidente. Andreas Lubitz si è chiuso dentro quella maledetta cabina di pilotaggio perché il dolore che sentiva dentro si era fatto insopportabile, e perché accusava di quel dolore i centocinquanta passeggeri e colleghi che volavano con lui, e tutti gli altri esseri umani che come lui sono incapaci di liberarsi dall’infelicità che divora l’umanità contemporanea, da quando la pubblicità ci ha sottoposto a un bombardamento di felicità obbligatorio, da quanto la solitudine digitale ha moltiplicato gli stimoli e isolato i corpi, da quando il capitalismo finanziario ci ha costretto a lavorare il doppio per guadagnare la metà.

domenica 15 marzo 2015

Coalizione Sociale di Stefano Rodotà

Coalizione Sociale

Il risveglio della politica





Entrata nell'uso, l'espressione "coalizione sociale" è stata ieri ufficializzata da Maurizio Landini. Come, e perché, si cerca una nuova forma dell'azione politica collettiva? Negli ultimi tempi si è delineato un rapporto tra Stato e società, o piuttosto tra governo e società, segnato da un forte riduzionismo, dove l'unico soggetto sociale ritenuto interlocutore legittimo è l'impresa. Versione casereccia della ben nota affermazione di Margaret Thatcher secondo la quale la società non esiste, esistono solo gli individui. Individui atomizzati separati tra loro: ieri, considerati "carne da sondaggio", oggi sbrigativamente ridotti a carne da tweet o da slide.
Spingendo un po' più in là questa analisi, non è arbitrario registrare un ritorno a quello che Massimo Severo Giannini, nella sua ricostruzione delle vicende storiche italiane, aveva definito uno "Stato monoclasse", oggi dominato dalla dimensione economica e dalla riduzione del governo a " governance". Stato e società si separano? Quale che sia la risposta, è nei fatti un distacco profondo dei cittadini da partiti e istituzioni, testimoniato dal crescere e consolidarsi dell'astensione elettorale.
Ma la società non scompare, né accetta la delegittimazione indotta dall'indirizzo politico del governo. Esprime pulsioni che ridisegnano il sistema dei partiti in senso populista o di democrazia plebiscitaria. Al tempo stesso, però, manifesta forme di organizzazione e di azione ben diverse, reagisce alla messa in opera di meccanismi di esclusione come quelli fondati sulla riduzione dei diritti e comincia così a colmare quel deficit di rappresentanza che investe la società nel suo insieme, e che viene aggravato dall'insieme delle riforme costituzionali e elettorali attualmente in discussione.
Proprio la questione della rappresentanza ci avvicina al cuore del problema. Quando si dice che vi è una folla di cittadini che non è o non si sente rappresentata, in realtà si constata che dalla discussione pubblica e dalla decisione politica sono assenti non tanto interessi specifici, quanto piuttosto riferimenti forti a principi fondativi. Una ricognizione paziente in questa direzione porta ad individuare i nessi che legano i grandi principi costituzionali alla concretezza dei temi che sono davanti a noi: tutela dei diritti sociali, partecipazione, riconoscimento dei nuovi diritti civili, considerazione dei beni in relazione alla loro essenzialità per la soddisfazione di bisogni sociali e culturali, rafforzamento dei legami sociali attraverso la pratica della solidarietà, necessità di agire nella dimensione sovranazionale e internazionale in maniera coerente con queste indicazioni.
Sono principi e temi di sinistra? A quella storia certamente appartengono, e la rinnovata attenzione per la società finisce così con il fare corpo conia necessità di garantire non una qualsiasi sopravvivenza ad una astratta identità di sinistra, ma a quell'insieme di principi ormai sbiaditi o abbandonati nella pratica di governo non solo italiana. Ma, ci si chiede, esiste un'area a sinistra del Pd dove potrebbe insediarsi una nuova forza politica? Il limite di questa impostazione sta nel riportare ogni questione all'interno del funzionamento del sistema dei partiti, identificando politica e partito e banalizzando tutto intorno alla domanda se tizio o caio stia per fondare un nuovo partito.
Proprio la possibilità di un'altra politica viene oggi descritta parlando di una coalizione sociale — Espressione che può avere diversi significati, ma che oggi individua un progetto concreto di collaborazione organizzata di molti soggetti attivi nella società, legati ai principi appena ricordati. Si parla di Libera e della Fiom, di Emergency e dei Comitati per l'acqua pubblica e i beni comuni, di Libertà e Giustizia, delle reti degli studenti, dei gruppi attivi sul tema del reddito di cittadinanza e altri ancora.
Mettere in comune queste esperienze, senza pretese di unificazioni artificiali, significa creare una massa critica politicamente rilevante, con capacità di attrazione, odi confronto, anche verso altre iniziative sociali su su un terreno distinto da quello dei partiti, prigionieri di logiche personalistiche e oligarchiche. E saremmo di fronte ad una discontinuità importante anche rispetto ai tentativi perdenti affidati ad improvvisate liste elettorali o a scimmiottature di esperienze straniere..
La fretta, la subordinazione alle occasioni elettorali, costituiscono la vera insidia sulla via della costruzione della coalizione sociale. Una riunione dei diversi soggetti prima ricordati, e non solo, dovrebbe definire le modalità di lavoro comune e i temi sui quali impegnarsi con azioni concrete, sorrette da un rinnovamento culturale. Solo dopo questo diverso radicamento sociale, culturale e politico verrebbe legittimamente il tempo di una discussione generale sulla rappresentanza e, se così si vuole chiamarla, sulla leadership.
Ma si dice che una vera coalizione sociale può nascere solo da una mobilitazione che crei un soggetto storico del cambiamento che abbia lo stesso ruolo che borghesia e classe operaia hanno avuto nella modernità. Si guarda allora alle nuove classi "esplosive" dei precari, migranti, occupanti, indignati, lavoro dipendente, ceto medio impoverito. Riferimenti significativi, ma che ancora non indicano la via verso un nuovo soggetto storico e, comunque, non possono destituire di significato altre forme di coalizione sociale.
Altri, invece, partono dall'attualità più stringente e spostano l'attenzione dalla coalizione sociale alla creazione di un soggetto unico della sinistra. Questione non nuova, conia quale si sono cimentati tanti spezzoni della sinistra con esiti finora insignificanti. L'ostacolo sta nel fatto che i diversi gruppi sono prigionieri di logiche paralizzanti: la sopravvivenza, ad esempio per Rifondazione comunista; l'appartenenza, per Sel e la variegata galassia delle minoranze del Pd. Una situazione che si trascina da tempo, che non può pretendere il monopolio delle iniziative a sinistra e che, anzi, potrebbe avvantaggiarsi da una discontinuità che obbligherebbe ad abbandonare gli schemi attuali. La coalizione sociale può essere proprio questo. Un risveglio, un benefico ritorno e di una politica forte e organizzata.

sabato 14 marzo 2015

PER LA COALIZIONE SOCIALE

Landini parte con Emergency e Libera

di MATTEO PUCCIARELLI   14 Marzo 2015
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Luce in fondo al tunnel? «Il capo della Fiom raduna movimenti per la “Coalizione sociale” di opposizione a Renzi. Coinvolti Libertà e Giustizia, Arci, centri sociali e associazioni di studenti. Aut aut a Sel e Rifondazione: partiti fuori». La Repubblica, 14 marzo 2015


Seduti al tavolo di Maurizio Landini oggi a Roma ci saranno gli altri due soggetti che insieme alla Fiom si preparano a sorreggere l’esperimento della “Coalizione sociale” anti-Renzi: Emergency e Libera. Con loro, pezzi di Arci, Libertà e Giustizia, sigle studentesche come Rete della Conoscenza e Uds e poi il mondo dei centri sociali, quelli meno radicali. Ma non i partiti come Sel o Prc; su quelli c’è quasi il veto, tanto che ad alcune delle associazioni che parteciperanno al vertice è stato fatto notare che le strade sono due: o si sta nel “campo” delle formazioni politiche oppure si sceglie la via del sindacato delle tute blu. La convocazione è arrivata con una lettera firmata da Landini in cui si legge che «la politica non è proprietà privata ». Per questo serve «promuovere la partecipazione», «superando il frazionamento».

Dall’antimafia ai precari, dagli operai al volontariato. Sono mondi diversi tra loro, uniti dalla mancanza di un referente politico di peso. L’idea è dare il via a un cantiere che sul medio termine (unodue anni di gestazione) punti a diventare un soggetto politico. Per ora ci si limita ad essere “l’associazione delle associazioni”. Landini si muove con i piedi di piombo, teme molto di bruciarsi. «Prima di ogni cosa occorre ricreare un terreno favorevole, anche come mobilitazione e movimento» ripetono gli uomini più vicini a lui. Giorni fa Gino Strada, parlando ai delegati sindacali via telefono dal Sierra Leone, è stato chiaro: «Per un polo di aggregazione impegnato su diritti, pace e uguaglianza io ci sono, per quel che posso fare». E anche il legame personale del sindacalista emiliano con il fondatore di Libera don Luigi Ciotti — che ha presentato una proposta di legge per il reddito minimo, allargando quindi la propria sfera di interesse — è ben saldo.

La “Coalizione sociale” — ragionano in Corso Trieste — avrebbe un’autorevolezza che per certi versi le sigle della sinistra radicale non hanno più. L’assenza di Landini alla Human Factor di Sel a Milano è stata vissuta male da Nichi Vendola. Mentre poche settimane fa Stefano Rodotà, intellettuale vicino al leader dei metalmeccanico, in un’intervista su Micro-Mega definì quei partiti «zavorre ».

I riferimenti sono più che altro europei. In ottobre, al comizio di chiusura del festival dei giovani di Syriza ad Atene, erano in tre sul palco: il padrone di casa Alexis Tsipras, il leader degli spagnoli di Podemos Pablo Iglesias e proprio Landini. Non a caso il segretario della Fiom ha in testa una via di mezzo tra i due esperimenti vincenti della sinistra radicale europea: coniugando il mutualismo dei greci con l’idea molto “indignados” di imporsi nel dibattito bypassando i partiti. La riflessione parte da un dato di fatto: nei paesi europei a suo tempo denominati “Pigs”, complice la crisi che ha impoverito molti, si stanno aprendo insperate praterie a sinistra. Italia a parte. 

Copiare modelli stranieri è impossibile ma importare alcune pratiche e discorsi sì. E difatti il linguaggio di Landini è cambiato molto negli ultimi mesi. Il continuo riferimento alla necessità di «unire i soggetti che il governo (o “il neoliberismo”) ha diviso», è una frase-chiave del sindacalista ma pure un must di Tsipras. Così come nel concetto di ambire alla “maggioranza” — cioè conquistare il consenso andando oltre il bacino della sinistra radicale, oltre ai confini della fabbrica — si intravedono le parole e il piglio di Iglesias.

Ora la prima vera tappa è la manifestazione del 28 marzo a Roma. C’è solo una possibile variante al disegno di Landini. Cioè il sogno, mai abbandonato, di guidare un giorno tutta la Cgil.

LUCIO MAGRI, CORPO A CORPO CON LA DEMOCRAZIA di Luciana Castellina

Lucio Magri, corpo a corpo con la democrazia

di LUCIANA CASTELLINA   12 Marzo 2015
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«E però: chi aveva ragione, il sarto o il vescovo? Il sarto, per­ché poi alla fine l’uomo ha volato. Ecco, diceva Lucio, per ora il comu­ni­smo si è schian­tato, ma alla fine volerà. Noi con­ti­nuiamo a provarci». La relazione (Luciana Castellina) e una cronaca (Daniela Preziosi) della presentazione degli atti parlamentari di un leader molto rimpianto. Il manifesto, 12 marzo 2015


CORPO A CORPO CON LA DEMOCRAZIA
di Luciana Castellina


Nella pre­fa­zione a que­sti due volumi [vedi riferimenti in calce] Ste­fano Rodotà scrive che Lucio Magri è stato uno dei pro­ta­go­ni­sti di que­sta sta­gione par­la­men­tare di fine secolo. Una «bella sta­gione», aggiunge Rodotà, e debbo dire che la rilet­tura di que­sti testi suscita nostal­gia: per­ché non solo nel caso di Lucio, ma per tutti in quell’epoca, ogni inter­vento alla Camera rap­pre­sen­tava un impe­gno, una rifles­sione, un eser­ci­zio di alto livello. Per que­sto, del resto, que­gli inter­venti pos­sono essere pub­bli­cati dopo tanti anni.

Pro­ta­go­ni­sta, dun­que ma assai ano­malo, per­ché all’inizio, nella legi­sla­tura ’76-’79, parte di un gruppo di appena sei depu­tati su 630 e segre­ta­rio di un par­tito, il Pdup, che in quella coa­li­zione elet­to­rale – deno­mi­nata Demo­cra­zia Pro­le­ta­ria – di depu­tati ne aveva solo tre. E però era in rap­pre­sen­tanza della sola oppo­si­zione, come si diceva allora, quando ancora si face­vano distin­zioni, “dell’arco demo­cra­tico”.

Nel suo primo discorso par­la­men­tare Lucio si era infatti tro­vato nella para­dos­sale con­di­zione di dover negare la fidu­cia a un governo soste­nuto da una mag­gio­ranza quasi totale: il governo delle lar­ghe intese dell’on. Andreotti. Anche que­sto det­ta­glio credo stia ad indi­care (ed è bene ricor­darlo in un momento in cui pro­prio di legge elet­to­rale si sta discu­tendo) quanto impor­tante sia il plu­ra­li­smo par­la­men­tare, una rap­pre­sen­tanza che esprima dav­vero tutte le anime del paese.

Che non bloccò affatto l’istituzione, ma con­sentì anzi ine­diti e sti­mo­lanti intrecci, penso innan­zi­tutto al dia­logo che si svi­luppò fra il nostro attuale pre­si­dente della Repub­blica — che dav­vero rin­gra­zio per la sua pre­senza — e Magri, in occa­sione della assai con­flit­tuale ride­fi­ni­zione, nel 1993, della legge elettorale.

È una buona cosa rileg­gere gli atti par­la­men­tari ed è una buona cosa che la Biblio­teca della Camera sia impe­gnata a ren­derlo pos­si­bile con le sue pub­bli­ca­zioni: per­ché si tratta della testi­mo­nianza più auten­tica e diretta di un periodo sto­rico, e debbo dire che anche io, che pure ho vis­suto da par­la­men­tare que­gli anni ’76-’99, rileg­gendo que­sti volumi sono stata aiu­tata ad appro­fon­dire la rifles­sione su quella sta­gione. Che ha peral­tro rap­pre­sen­tato un pas­sag­gio epo­cale per il nostro paese, non a caso defi­nito “pas­sag­gio dalla prima alla seconda Repub­blica”.


Tut­ta­via, più che ritor­nare a quella sta­gione vor­rei cogliere quanto di tut­tora estre­ma­mente attuale ho tro­vato in que­sti discorsi di Lucio Magri. E sof­fer­marmi soprat­tutto sul tema della crisi della demo­cra­zia, che a me sem­bra essere oggi il tema più pre­oc­cu­pante. Lucio ne avverte la dram­ma­ti­cità già allora e denun­cia i rischi — con quello che Rodotà ha defi­nito «impie­toso rea­li­smo» — della deriva dell’antipolitica oggi diven­tata così macroscopica.

Non un lamento impo­tente, ma la cri­tica con­creta all’autoreferenzialismo cre­scente dei par­titi, alla loro inca­pa­cità di inten­dere quanto andava emer­gendo nella società attra­verso i movi­menti e indi­cando dun­que la neces­sità non, come troppo spesso ora si fa, di offrire un’espressione diretta ad una inde­ter­mi­nata società civile sacra­liz­zata e però fran­tu­mata e fatal­mente subal­terna alla cul­tura domi­nante, bensì un impe­gno a costruire quella che egli defi­niva «demo­cra­zia organizzata».

Non solo par­titi chiusi in se stessi più rap­pre­sen­tanza dele­gata, ma anche una rete di orga­ni­smi capaci di andar oltre la mera pro­te­sta e impe­gnati a impa­rare a gestire diret­ta­mente fun­zioni essen­ziali della società, così da ridurre via via la distanza fra gover­nanti e gover­nati (che poi è la base più salda della demo­cra­zia). E così col­mare il solco che dram­ma­ti­ca­mente separa il cit­ta­dino dalle isti­tu­zioni.

Non a caso il Pdup fu un punto di rife­ri­mento per la cre­scita di que­ste reti che ebbero, — negli anni 70 — una par­ti­co­lare fio­ri­tura. Penso ai Con­si­gli di fab­brica, a quelli di Zona, a movi­menti come Medi­cina Demo­cra­tica o Psi­chia­tria, o nati attorno alle grandi que­stioni dell’assetto urbano e sociale.
Io non me la sento di accu­sare le nostre gio­vani gene­ra­zioni per il loro disin­te­resse alla poli­tica, per la pole­mica con­tro la “casta” che fatal­mente sfo­cia nel disin­te­resse anche per la stessa demo­cra­zia, o di que­sta assume una visione asso­lu­ta­mente ridut­tiva: un insieme di diritti e di garan­zie indi­vi­duali, non lo spa­zio su cui si salda ed opera una col­let­ti­vità.

Il ter­reno della poli­tica si è ormai a tal punto ridotto, come una pelle di zigrino, sì da diven­tare un eser­ci­zio pas­sivo in cui ci si limita ad inter­ro­gare il cit­ta­dino per­ché dica «mi piace o non mi piace» a quanto pro­po­sto da un ver­tice, come si trat­tasse di face­book. E infatti di solito si dice «I like it, Idon’t».

Se la demo­cra­zia è solo que­sta spo­ra­dica con­sul­ta­zione, e non invece uno spa­zio deli­be­ra­tivo che ti rende par­te­cipe e sog­getto della costru­zione di una società ogni volta inno­va­tiva, per­ché mai un gio­vane dovrebbe appassionarsi?

Il declino dei grandi par­titi poli­tici di massa ha lasciato un vuoto che dai tempi in cui Lucio ne denun­ciava i sin­tomi è diven­tato un oceano. Non li rico­strui­remo tali quali erano (e anche loro, del resto, ave­vano non pochi difetti). Ma è impor­tante tor­nare a riflet­tere sul senso della poli­tica, — che non è ricerca di con­senso, ma costru­zione di senso — così come con que­sti discorsi, pur pro­nun­ciati in Par­la­mento e non a scuola, Magri ci spin­geva a fare, per recu­pe­rare la poli­tica, che poi è ricerca della pro­pria iden­tità nel rap­porto con gli altri umani e non arroc­ca­mento sul pro­prio io nell’illusione di potersi sal­vare da soli.

Se non doves­simo riu­scire a far capire quanto la len­tezza della con­di­vi­sione, — che è pro­pria della demo­cra­zia – sia più pre­ziosa della fretta, solo appa­ren­te­mente più effi­ciente, del deci­sio­ni­smo, non ce la faremo nem­meno a far rivi­vere una vera Sini­stra. Per que­sto sono dav­vero con­tenta — e con me tutti i com­pa­gni del Pdup — della sol­le­ci­ta­zione che da que­sti testi ci viene per riflet­tere sull’oggi. E per aiu­tarci a discu­terne con i più gio­vani.

La luci­dità anti­ci­pa­trice di Magri su que­sto come su altri temi — che è cer­ta­mente stata una delle sue più signi­fi­ca­tive carat­te­ri­sti­che — ha avuto una par­ti­co­lare inci­si­vità per­ché lui non era un pro­feta, un intel­let­tuale separato.

In occa­sione della sua scom­parsa, Perry Ander­son, uno dei fon­da­tori della auto­re­vole New Left Review, ha scritto: «Lucio Magri non ha avuto uguali nel pano­rama della sini­stra euro­pea. È stato l’unico intel­let­tuale rivo­lu­zio­na­rio in grado di pen­sare in sin­to­nia con i movi­menti di massa, svi­lup­pa­tisi durante il corso della sua vita. La sua rifles­sione teo­rica si è radi­cata real­mente nell’azione, o nella man­canza d’azione, degli sfrut­tati e degli oppressi».

La ricerca, alla fine quasi osses­siva, del nesso fra teo­ria e mili­tanza ha finito per esser­gli fatale. Nel 2004 Magri decise di porre fine alla nuova “Rivi­sta” de il mani­fe­sto che era rinata nel 1999 sotto la sua dire­zione. Era una bella rivi­sta. Ma Lucio non si ras­se­gnava al fatto che man­cas­sero i refe­renti sociali, non voleva essere solo un intel­let­tuale che scri­veva senza la veri­fica dell’azione poli­tica. E poi­ché non vedeva nell’immediato le con­di­zioni per­ché inter­lo­cu­tori con­si­stenti si pre­sen­tas­sero e che il dibat­tito poli­tico in atto si sbri­cio­lava in qui­squi­lie, decise di ces­sare le pubblicazioni.

Furono moti­va­zioni ana­lo­ghe che lo con­dus­sero alla sua tra­gica deci­sione finale. «Non dico che la sini­stra non rina­scerà — ripe­teva — ma ci vor­ranno molti anni e io sarò comun­que già morto. Così come è il dibat­tito non mi inte­ressa». Ma non era tut­ta­via pes­si­mi­sta nel lungo periodo. Come del resto prova il titolo del suo libro Il sarto di Ulm — oggi tra­dotto in Inghil­terra, Ger­ma­nia, Spa­gna, Bra­sile, Argen­tina — titolo tratto da un apo­logo di Ber­tolt Bre­cht. Al sarto, che pre­ten­deva che l’uomo poteva volare, — stufo dell’insistenza — il vescovo-principe di Ulm fini­sce per dire: «Vai sul cam­pa­nile e but­tati, vediamo se è vero quanto dici». Il sarto va e salta, e natu­ral­mente si sfracella.

E però: chi aveva ragione, il sarto o il vescovo? Il sarto, per­ché poi alla fine l’uomo ha volato. Ecco, diceva Lucio, per ora il comu­ni­smo si è schian­tato, ma alla fine volerà. Noi con­ti­nuiamo a provarci



QUELLA LUCIDA DIFESA DEL MATTARELLUM
 LEGGERE MAGRI NELL’ITALIA RENZIANA DEL 2015
di Daniela Preziosi

C’è una ragione, forse una in par­ti­co­lare, che ha por­tato il pre­si­dente della Repub­blica Ser­gio Mat­ta­rella ieri mat­tina nella Sala della Regina di Mon­te­ci­to­rio all’affollata pre­sen­ta­zione dei due volumi sull’attività par­la­men­tare di Lucio Magri, fon­da­tore de il mani­fe­sto poi del Pdup poi ancora fra i pro­ta­go­ni­sti della prima Rifon­da­zione comu­ni­sta, depu­tato dal 1976 al 1994, scom­parso per sua volontà non ancora ottan­tenne il 28 novem­bre 2011. A rac­con­tarla, que­sta ragione, in parte a rive­larla, è «l’amico di una vita» Famiano Cru­cia­nelli, con Luciana Castel­lina e Aldo Gar­zia cura­tore del libro Alla ricerca di un altro comu­ni­smo (2012) con arti­coli e inter­venti dello stesso Magri. «Io cono­sco la sto­ria e so qual era il rap­porto fra l’allora ono­re­vole Mat­ta­rella e Magri».

La «sto­ria» ha a che vedere con legge elet­to­rale che porta il nome del Pre­si­dente, alla quale Magri «pre­stò una forte atten­zione e che fu fer­tile ter­reno comune con l’onorevole Mat­ta­rella». Il depu­tato comu­ni­sta fece parte del gruppo ristretto che discusse inten­sa­mente del testo. Un corpo a corpo su una legge dif­fi­cile da scri­vere, a valle del refe­ren­dum mag­gio­ri­ta­rio votato a furor di popolo qual­che mese prima. 

Poi la difese in aula con rea­li­smo: «Que­sta intesa avrebbe potuto essere migliore, ma con que­sti rap­porti di forza e que­sto pul­vi­scolo di inte­ressi in campo e sotto la pres­sione di un’opinione pub­blica appas­sio­nata ma male infor­mata sarebbe stato dif­fi­cile fare meglio», disse. Magri, rico­strui­sce Cru­cia­nelli (anche lui all’epoca depu­tato Prc, poi con Magri uscì dal par­tito con i ’comu­ni­sti uni­tari’), «si trovò come sem­pre a discu­tere su due fronti: quello di una parte con­si­stente del gruppo diri­gente di Rifon­da­zione comu­ni­sta che come una lita­nia ripro­po­neva il pro­por­zio­nale, con una straor­di­na­ria rimo­zione della realtà; e quello molto più potente del Pds, dei soste­ni­tori dell’ipermaggioritario che inten­de­vano can­cel­lare il sistema dei par­titi. 

La legge Mat­ta­rella rap­pre­sen­tava il punto più avan­zato: per un verso accet­tava il ver­detto del refe­ren­dum e per l’altro teneva aperto con quel 25 per cento di pro­por­zio­nale la pos­si­bi­lità di ridare un senso gene­rale ai par­titi e a un tes­suto demo­cra­tico che vive nella par­te­ci­pa­zione dei sog­getti orga­niz­zati». Aver­cela oggi, quella legge, al posto dell’incipiente Italicum.

Già da que­sto brano si capi­sce che la sala stra­piena non è una riu­nione di reduci accorsi a omag­giare la fami­glia e a rim­pian­gere i tempi andati. C’è, sì, la comu­nità dei «com­pa­gni del Pdup», la breve ma feconda espe­rienza del ’par­tito d’unità pro­le­ta­ria per il comu­ni­smo’, del mani­fe­sto e delle cin­quanta sfu­ma­ture della sini­stra di ieri e di oggi, da Nichi Ven­dola e tutto il gruppo di Sel a Fau­sto Ber­ti­notti, da Luciano Pet­ti­nari a Paolo Guer­rini a Lucio Mani­sco a Franco Gior­dano, al gior­na­li­sta Valen­tino Par­lato; il costi­tu­zio­na­li­sta Gianni Fer­rara, gli ex sot­to­se­gre­tari Vin­cenzo Vita e Alfonso Gianni, l’ex euro­par­la­men­tare Roberto Musac­chio; fino a Ste­fano Fas­sina, Roberto Spe­ranza, Nico Stumpo e Vale­ria Fedeli (Pd); ma anche ai cat­to­lici ex dc Gerardo Bianco e Nicola Man­cino (dalla Dc pro­ve­niva Magri, iscritto al Pci nel ’57 prima essere radiato nel ’69), il già socia­li­sta poi Fi oggi Ncd Fabri­zio Cicchitto.
Il ragio­na­mento che si svi­luppa negli inter­venti (Laura Bol­drini, Gianni Melilla, Paolo Fon­ta­nelli, Bianco, Castel­lina, Cru­cia­nelli) a par­tire dai discorsi del depu­tato Magri sulla rap­pre­sen­tanza e sulla «demo­cra­zia orga­niz­zata» (lui, autore di un sag­gio su «par­la­mento o con­si­gli» — i soviet — in rispo­sta a Pie­tro Ingrao sul mani­fe­sto del 1970, così defi­ni­sce quella che ora con for­mula fessa si chiama ’società civile’) parla dell’oggi. Coglie già «l’avvio della deriva oli­gar­chica», sot­to­li­nea nella pre­fa­zione dei volumi il costi­tu­zio­na­li­sta Ste­fano Rodotà. La pre­si­dente Bol­drini, padrona di casa, riflette invece su ’quel par­la­mento’: nel ven­ten­nio 76–94 «c’era una curio­sità per le opi­nioni diverse, oggi alla Camera non sem­pre accade». Si intui­sce il rife­ri­mento alle pole­mi­che degli ultimi giorni.

A leg­gere Magri di fine anni 80 si incro­cia l’Italia del 2015. Magri «indi­gnato con il nuo­vi­smo che carat­te­rizza lo scio­gli­mento del Pci», non per­ché «non inno­va­tore» ma per­ché «con­si­de­rava un grave errore poli­tico la reto­rica di un nuovo senza radici e senza futuro» (Cru­cia­nelli). Il ber­sa­glio di ieri è il «nuo­vi­smo» occhet­tiano; ma le parole non cal­zano bene per «la rot­ta­ma­zione» ren­ziana? 

A leg­gere Magri del ’93 si incon­tra il tor­mento della sini­stra di governo: «L’unica strada per­cor­ri­bile è quella non dell’improvvisa scom­parsa dei par­titi poli­tici ma delle gra­duali e pro­gres­sive coa­li­zioni fra gli stessi con piat­ta­forme pro­gram­ma­ti­che defi­nite». E cosa c’è di più attuale e più coevo della crisi di rap­pre­sen­tanza della sini­stra? «Magri rap­pre­senta un punto di vista, una parte certo di mino­ranza», dice Melilla, già Pdup-manifesto oggi depu­tato di Sel, «ma non fu mai mino­ri­ta­rio. Amava una frase di Teresa di Lisieux: ’so che niente dipende da me, ma parlo e agi­sco come se tutto dipen­desse da me’».


Pre­sen­ta­zione dei volumi
“Lucio Magri – Atti­vità parlamentare”

Mer­co­ledì 11 marzo, alle ore 11, presso la Sala della Regina di Palazzo Mon­te­ci­to­rio, sono stati pre­sen­tati i volumi “Lucio Magri — Atti­vità parlamentare”.
Ha aperto l’appuntamento il saluto della Pre­si­dente della Camera dei depu­tati, Laura Boldrini.
Sono inter­ve­nuti Paolo Fon­ta­nelli, Que­store della Camera, Gianni Melilla, Segre­ta­rio di Pre­si­denza della Camera, Gerardo Bianco, Luciana Castel­lina, Famiano Crucianelli.
Pre­sente il Pre­si­dente della Repub­blica, Ser­gio Mat­ta­rella.

Guarda il video sul sito della Camera.

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