sabato 26 gennaio 2013

Giorno della Memoria 2013

 

Giorno della Memoria 2013

In ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti, 27 gennaio 2013.

Domenica 27 gennaio 2013
“ Capire è impossibile, ricordare è un dovere. Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo.” ci ammoniva Primo Levi.

La dedica, se così si può dire, è alla rivolta del Ghetto di Varsavia. Gli ebrei rimasti in vita decisero di resistere ai nazisti e ci riuscirono, senza aiuti e armi, dal 19 aprile al 16 maggio, poi morirono quasi tutti. Così come morirono quasi tutti i deportati dall’Italia lo stesso anno, consegnati al boia nazista dagli “italiani brava gente. Due sono le ragioni principali di questo impegno ormai pluridecennale, oltre, ovviamente, alla volontà di ottemperare a quanto previsto dalla Legge 211/2000, che istituisce il giorno della memoria.
La prima riguarda chi perse la vita nell’inferno dei lager nazisti.
È bene ricordare ancora una volta che nei campi di concentramento e di sterminio nazisti sono morti 13 milioni di esseri umani, di questi 6 milioni erano ebrei e di questi circa 1,5 milioni erano bambini, circa 700mila era rom e sinti, e poi decine di migliaia di omosessuali, oppositori politici soprattutto comunisti, anarchici e socialisti ma anche cattolici, malati di mente o così dichiarati, semplici cittadini dei paesi occupati. E ricordiamo ancora che i bambini finivano con le loro mamme nelle camere a gas per essere poi bruciati nei forni crematori talvolta ancora vivi. Ma non mancano neanche episodi che vedono i bambini più piccoli utilizzati per il “tiro al piccione”.
Se anche per un attimo cerchiamo di immaginare scene di questo tipo, appare giusto ricordare quelle vittime perché non siano sole, almeno nella storia. Senza retorica, ma con tanta partecipazione e comprensione anche in presenza di eventi che appaiono assurdi e razionalmente indecifrabili. Capire è impossibile, ricordare è doveroso, infatti ci ammoniva Primo Levi.
Ma c’è una seconda ragione, se vogliamo più “egoistica”: cercare di capire almeno i meccanismi che possono condurre un uomo o una donna del XX secolo (quello chiamato breve, in realtà fin troppo lungo) ad eseguire crimini così efferati fino a considerare l’altro come un non-essere vivente o meglio non degno di vivere, al punto di utilizzare parti del suo corpo come i capelli (stoffe, pantofole), le ossa (saponi) e la pelle (paralumi). Una sorta di economia infernale.
E tutto questo era conosciuto in particolare dalle forze alleate, ma non si ritenne opportuno intervenire sia perché ad esempio bombardare le linee ferroviarie che portavano ad Auschwitz distraeva l’aviazione da obbiettivi militari, sia perché, ed è ufficiale, negli Stati Uniti non si voleva dare l’idea che si andavano a salvare gli ebrei, sacrificando così i soldati americani, suscitando le ire dei tanti antisemiti che in quel paese contavano elettoralmente abbastanza, e così via.
Non è vero quindi, come per decenni ci hanno detto, che nessuno sapeva! Ma poi sapere, anche diffusamente, serve? Quando oggi, quotidianamente, ascoltiamo le notizie alla radio o guardiamo la televisione, magari mentre siamo a tavola, ammesso che ci colpisca una strage di studenti o di bambini nel terzo mondo, oppure si abbiano i particolari di attentati terroristici, o infine ci venga comunicato che in un paese come la Siria vengono uccisi almeno 100 persone al giorno, cambia qualcosa nella nostra vita? Si interrompe il pranzo o il resoconto della giornata? E i nostri governi, al di là delle dichiarazioni riguardanti l’argomento di moda sui giornali in alcuni giorni, cosa fanno?
L’Europa ha avuto il premio Nobel per la pace perché non fa la guerra da 70 anni. Dopo i 65 milioni di morti della seconda guerra mondiale (per non parlare delle prove fatte con i 20 milioni di morti della prima) forse ci è passata un po’ la voglia! E poi ci pensa il resto del mondo a non perdere l’abitudine.
Sapere quindi non è sufficiente. Ma  sapere almeno ciò che è avvenuto nel passato e capire come è andata a finire può aprire una finestra di comprensione sul presente e aiutarci a difenderci da conseguenze disastrose anche per il futuro immediato.
 Si dice che senza memoria non c’è futuro, dimenticandoci il presente, forse perché questo impegna i comportamenti?

LASSOCIAZIONE DEI DEMOCRATICI DI BUSSERO

Nessun commento:

Posta un commento