giovedì 22 novembre 2012

RIFLESSIONI A MARGINE DI UNA ASSEMBLEA SULLE PRIMARIE DEL CENTROSINISTRA A BUSSERO

L’intervento problematico solo in apparenza fuori luogo di Gianni Marcatili  nella serata del 20/11 e a seguire gli interventi di Carmine e di Enzo mi stimolano a fare alcune considerazioni di merito.

Al di là delle pur legittime posizioni culturali di ciascuno che derivano incontestabilmente dalla propria personale esperienza di vita professionale ed umana, lo scriveva un tal Marx molto tempo fa, ma resta una verità inconfutabile “ non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza”. Quindi non mi meraviglio affatto dell’affermarsi di teorie e idee sulla crisi e sui modi per uscirne che contengono in sé e per sé tale struttura di pensiero. Ho già avuto occasione di affermare in altre occasioni che diverse sono le percezioni della crisi tra chi possiede redditi  tra i 500 e i 1500 € al mese e chi invece ne introita di più e talvolta molti di più. Detto questo che a mio parere non è affatto esiziale, elenco le mie riflessioni al proposito.
Enzo verso la fine del  suo appassionato intervento pone  e si pone due domande:
1)    è sostenibile un sistema di welfare senza crescita demografica ed economica?
2)    possiamo pagarci un sistema universale seppure più costoso senza determinare le condizioni per la crescita?
Ne fa derivare due risposte:
1)    l’unico modo per rispondere a quelle due domande è aumentare il PIL e sostenere un sempre più alto livello di sviluppo e crescita
2)    è impossibile e financo ridicolo  pensare ad un processo alternativo di decrescita.

Ecco sta proprio in queste due domande e due risposte la differenza che corre impetuosa tra le nostre due interpretazioni della crisi e dei modi per uscirne.
E’ da qui che dipende l’antinomia, il contrasto, squisitamente politico e culturale che attanaglia le due sinistre che da anni ormai si sono strutturate come mondi paralleli e solo in parte complementari. Le Primarie del centrosinistra, per la prima volta vere e dirimenti, ne sono la fotografia plasticamente veritiera. Si scontrano quindi due concezioni della politica e della cultura, entrambe si richiamano al costume ed alla storia ( non è quindi in questo caso un problema di moralità o di etica che attiene le persone e non le idee ) della sinistra.

Io alle domande poste da Enzo rispondo ribaltando il senso delle stesse:
1)    è concepibile un’economia capace di una crescita continua?
2)    esistono altre forme di economia che possano fare a meno della crescita senza farci ricadere nella povertà?

Da tempo economisti e scienziati si sono impegnati nel compito di immaginare quali dovrebbero essere le linee portanti di un nuovo modello di sviluppo dell’economia in senso ecologico e, soprattutto, di un nuovo modello ideologico. Crediamo che sia giunto il momento di passare dall’economia della competizione a una nuova economia della cooperazione: la competizione sempre più spinta ha prodotto un’età della crescita che è oramai degenerata in un’età della distruzione. Nuove forme di cooperazione potrebbero, invece, condurci verso un’età di rinnovato benessere.
In concreto, si tratta di promuovere un formidabile progresso tecnologico e una decisa svolta morale per modificare sia l’evoluzione della tecnica sia la psicologia del consumatore il quale dovrebbe acquisire maggiore consapevolezza delle sue azioni e dell’impatto che esse provocano nella società e nell’ambiente naturale. Ciò significa passare dalla quantità alla qualità, da un concetto di “maggiore” a uno di “migliore”, dall’espansione illimitata all’equilibrio dinamico.
Uno degli aspetti fondamentali riguarda la riconversione ecologica dell’economia e implica il cambiamento del modello di sviluppo basato sui combustibili fossili, sull’automobile a benzina e sulle materie plastiche. Un modello che si è affermato da circa duecento anni e che, nonostante innovazioni come l’elettricità, l’informatica e le telecomunicazioni, continua ad essere dominante. ( cfr. Ruffolo-Sylos Labini “Se la crescita non basta più” )
Del resto Romano Prodi uno dei padri nobili delle sinistra moderna e raffinato economista e manager di provata esperienza internazionale, che nemmeno Renzi si sogna di rottamare, e che proprio Enzo nel suo blog pone come suo ispiratore, nella prefazione al bel libro postumo di Edmondo Berselli “L’economia giusta” richiama il fatto incontestabile che “non è possibile costruire il futuro se si continuano a compiere gli errori del passato” e di questo passato l’errore più grave “ è la crescente iniquità nella distribuzione dei redditi, che ha distrutto tutti i precedenti modelli di vita e ha prodotto un mondo industrializzato in cui la divaricazione tra pochi ricchi e potenti e i molti sempre più spettatori progressivamente emarginati”. “La spiegazione di questa involuzione sta nella politica  e nella sottomissione di questa all’economia di mercato e alla finanza, “ in una continuità che si è prolungata ininterrottamente per circa 30 anni e di essa sono responsabili maggiori le dottrine e le decisioni ( ndr. Liberiste ) di Reagan e di Tatcher e la debolezza dell’impianto teorico della sinistra, rimasta succube e vittima del cosiddetto “nuovo laburismo” di Blair , come scrive Berselli “ compromesso dalle menzogne geopolitiche e dalla logica della guerra”.
L'attuale non-discussione sulle riforme in Italia - non solo priva di respiro europeo e le decisioni già adottate sono invece assolutamente in linea con quel pensiero che ha prodotto la crisi e che ora pretende, spesso con le stesse persone che l’hanno guidata fino al suo evidente scoppio.  A partire dalla decisione più sbagliata: la messa al bando, con il pareggio di bilancio in Costituzione, di Keynes e del migliore pensiero economico del '900.
L'unica alternativa alla dissoluzione dell'Europa è schierarsi sull'altro corno del dilemma: dalla parte dei diritti del lavoro e di cittadinanza. Ma questo comporta uno scontro frontale con il potere della finanza, perché nessun progetto di un qualche respiro sarà mai perseguibile in presenza di una bolla finanziaria e del potere di mercati che in poche ore possono cambiare radicalmente il contesto di riferimento e azzerare qualsiasi disegno politico. Non sono certo Monti e i rappresentanti di quelle istituzioni europee e mondiali che si sono rispecchiate nella sua cultura e nel suo cinismo, e meno che mai quella parte di sinistra europea che si è dissolta nella ostinata certezza che alla dittatura dei mercati e alla globalizzazione liberista non c'è alternativa, quelli che possono condurre uno scontro del genere. Eppure le condizioni ci sarebbero: invece che compiacersi di non essere ancora precipitati nella situazione della Grecia, o di avere qualche punto di spread in meno della Spagna - una competizione meschina e infantile su chi fa meglio «i compiti a casa» che il primo a praticare è stato proprio Monti - bisognerebbe imboccare la strada della solidarietà tra i paesi cosiddetti Pigs (o Piigs: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna; poi Cipro e domani, probabilmente, Francia). L'Italia, più di altri, potrebbe promuovere questo schieramento: è l'unico di questi paesi ad avere un avanzo primario che gli permetterebbe di congelare temporaneamente il proprio debito - per poi passare, eventualmente, a un trattamento selettivo dei propri creditori - senza dover ricorrere al mercato per rifinanziarlo. Anche solo prospettare una misura del genere basterebbe per riportare a più miti consigli i paesi forti, aprendo le porte a una gestione congiunta dei debiti sovrani.
Ma una mossa del genere non avrebbe senso senza un'autentica alternativa nel campo delle politiche economiche. Non si tratta né solo né innanzitutto di recuperare competitività per riposizionarsi nella gara a chi esporta di più; e meno che mai di cercare di farlo riducendo salari e servizi pubblici e aumentando precariato e sfruttamento del lavoro. Gli sprechi che hanno messo alle corde la cosiddetta azienda Italia sono altri, mentre precariato e insicurezza non fanno che incrinare produttività e competitività dell'economia. L'idea di risanare una bilancia dei pagamenti disastrata e di ripagare un debito pubblico insostenibile con le esportazioni non fa i conti con un mondo che non è più quello di cinquant'anni fa. Se una soluzione del genere fosse praticabile, tanto varrebbe ritornare alla lira e alle svalutazioni. Ma quei mercati - compreso il nostro - sono stati ormai occupati da altri players globali e molte delle merci che ne assorbono le esportazioni - e non solo quelle dell'Italia - hanno ben poco avvenire in un mondo alle prese con lo strapotere della finanza e la crescente e non recuperabile crisi ambientale. Il problema, caso mai, non è quello di esportare di più - benvenuto comunque chi riesce a farlo - ma quello di importare di meno.
Cambiare modello con la conversione ecologica, rimettendo a confronti pubblici e a decisioni condivise la determinazione di che cosa, come e dove si produce: produrre beni dal futuro sicuro, perché sono quelli che riportano i processi economici entro i limiti della sostenibilità (e chi prima lo fa avrà anche i tanto agognati vantaggi competitivi: non ultimo dei motivi per cui l'economia italiana continua a perdere terreno); e riterritorializzare, per quanto è possibile, le filiere: dalla produzione al consumo: non con un impraticabile protezionismo, ma coinvolgendo territori e comunità nei processi di riconversione: sia dal lato della produzione per offrire una prospettiva e un mercato sicuro alle aziende in crisi, sia da quello del consumo, promuovendo beni e servizi condivisi, sia da quello del recupero dei beni dismessi o dei loro materiali.
Su queste basi si può ricostruire una nuova idea di Europa e di mondo e anche di competizione qualitativa: non più solo frutto del pensiero visionario di un pugno di uomini reclusi e isolati dalla guerra, bensì frutto di un grande dibattito pubblico, finalmente, di nuovo, politico, che coinvolga migliaia e poi milioni di cittadini italiani ed europei.
Si io credo che farebbe bene a tutti noi aprire un confronto meno superficiale sulle terapie di uscita dalla crisi e di gestione della stessa, partendo da un presupposto a mio parere insopprimibile per una sinistra che voglia essere all’altezza della sua storia migliore e coerente con il suo principio più genuino: l’uguaglianza.  E richiamo qui un punto essenziale della Carta d’Intenti del Centrosinistra che si presenta a contendere alle destre il governo del Paese ( e non a caso l’entourage di Renzi questa Carta non la ritiene sua e la considera  sbagliata, ammettendo che se vince lui di quella non se ne fa nulla e della coalizionie unitaria del Centrosinistra pure ! ):
Per noi parlare di uguaglianza significa guardare la società con gli occhi degli “ultimi” . Di coloro che per vivere faticano il doppio perché sono partiti da più indietro o da più lontano o perché sono persone con disabilità o soltanto meno fortunate.

Saluti fraterni, Vitaliano Serra
( di seguito la mail di Enzo Marino a cui é andata la mia risposta soprascritta)
Carissimo Carmine,
 
Ti ringrazio per le tue considerazioni. Non mi piace però sentirmi "avversario". Proviamo a stare tutti dalla stessa parte...
 
Posso dirti che quanto ho detto ieri nella premessa corrisponde esattamente alla realtà: questo cammino verso le primarie è stato davvero tortuoso.
E sono stato fortemente combattuto tra l'enorme stima per la persona (Bersani) e condivisione di idee/programmi/visione della Sinistra e per l'Italia (Renzi ed Ichino).

Alla fine hanno prevalso i secondi che meglio interpretano l'idea di Sinistra e di Progresso che ho maturato nel corso degli anni.
 
Da questo punto di vista posso orgogliosamente dirti di essere stato Renziano prima di Renzi. Anzi, se posso scegliermi un'appellativo, chiamatemi Obamiano (preferisco).
E tante cose che sento dire da Renzi le avevo scritte nel 2009-2010 (vedi Link. Non aver paura. Non voglio che tu lo legga tutto. ...Ma se riesci dai un occhiata all'indice e sfoglia qualche capitolo)
 
 
Colgo l'occasione e mi fa piacere proporti un paio di considerazioni, senza nessuna presunzione di verità. E' solo il mio punto di vista.
Non debbono convincerti. Spero però che riescano a farti capire perchè dico le cose che dico (magari sbagliando).
 
 
1) Sono convinto che i sistemi economici sono sistemi estremamente complessi, interconnessi, non lineari, imprevedibili ed incontrollabili. 
Nascono dalle interazioni di milioni di agenti (consumatori, produttori, intermediari). L'energia (e le informazioni) necessarie per indirizzarli e controllarli è di gran lunga superiore a quella per regolarli ed incanalarli. Il mercato è come un grande fiume impetuoso. Non lo puoi fermare. Se non fai niente ti travolge. Puoi però arginare ed incanalare l'energia ed il suo limo per fare tante cose buone.
 
Questa per me non è una convinzione politica, bensì ha radici profonde nella mia formazione scientifica.
 
L'ho già scritto altre volte: quando è crollato il muro di Berlino ed ho perso i miei riferimenti culturali li ho ritrovati pian piano (ed a fatica) grazie ad un signore "pacioccone" che in una serie di trasmissioni televisive mi spiegò che in Economia lo Stato deve essere arbitro e non giocatore. E la buona politica deve fare buone regole (di giustizia sociale). Quel signore penso che anche tu lo abbia votato due volte. E sono convinto che anche tu abbia gioito due volte per la sua vittoria.
 
Ho letto di recente un bellissimo libro ("Gardens of democracy" - i giardini della democrazia di Nick Hanauer. Non so se è già uscito in Italia).
Amo la metafora, forse perchè mi piacciono i giardini, sulla quale è fondata il libro. I sistemi socali ed economici sono come giardini ed in quanto tali debbono essere prima immaginati, poi curati e sorvegliati.
Non ci si può sedere e lasciare che la natura faccia il suo corso (il liberismo selvaggio, la deregulation, Milton Friedman, Von Hayek, etc...). Ci ritroveremmo erbacce cattive dapertutto. Non possiamo nemmeno seguire ed indirizzare ogni singola foglia (pianificare l'economia). Dobbiamo delimitare i confini (regole, indirizzi), potare (gli eccessi), estirpare (devianze e soprusi), innaffiare (incentivi), etc... 
 
Sono tante le cose che possiamo fare: stimolare e finanziare la ricerca industriale sui settori tecnologici avanzati, programmare incentivi, etc..(oltre ai vincoli ed alle regole di tutela dei lavoratori, ambiente, consumatori, etc..) Ma se vogliamo sviluppo (anzi ne abbiamo bisogno) dobbiamo incentivare e non reprimere la libera iniziativa. Dobbiamo tutelare le condizioni per l'investimento privato. Dobbiamo stimolarlo. Sono imprese ed innovazione a creare occupazione. 
 
2) Io non credo più nella lotta di classe. Mi dispiace, ma non odio i padroni.
Se la pensi diversamente anche senza essere avversari siamo davvero su due pianeti diversi. Anzi due galassie diverse.
Proprio i Wallenberg che tu citi sono i miei padroni. Sono strapienissimi di soldi ma non me frega niente. Il mio gruppo è solo un pezzo del loro impero. E solo il mio gruppo in Italia ha otto fabbriche (grosse). Mi basta questo. E' una  cosa buona,
Esiste un contrasto di interessi, ovvio. Ma è ben altra cosa. E' potenzialmente (se lo gestiamo bene) un gioco a somma maggiore di zero (vinciamo entrambi, magari chi più, cho meno, ma entrambi) e non un gioco a somma zero (quello che vinci tu, perdo io e viceversa).
 
3) In generale le aziende non sfruttano i lavoratori. Ci sono buone aziende e cattive aziende. Come buoni lavoratori e cattivi lavoratori. Buone persone e cattive persone.
Il mondo non è affatto in bianco e nero. Con i buoni da una parte ed i cattivi dall'altra.
Se ragioniamo in questi termini, forse possiamo trovare nuove soluzioni.
Ti assicuro che assumere un dipendente costa, formarlo costa ancora di più e non è affatto un piacere privarsene.
Come faccio a dirlo ? Beh sicuramente non l'ho letto sui libri. E' la mia vita vissuta.
Gestisco personalmente una linea di business per la mia azienda. Ho 47 persone alle mie dipendenze. E ti assicuro che spendiamo tanto tempo a livello di management a pensare a come far crescere le loro competenze ed in particolare valorizzare i più talentuosi.
Forse sono fortunato. Può essere ....ma visito, tra fornitori e clienti, almeno 4-5 aziende alla settimana, e non sono molto diverse dalla mia.
Poi ci sono quelle che sfruttano, rapinano, imbrogliano.  
Ma cosi come ci sono quelli che evadono il fisco, imbrogliano, inquinano, etc... E che vanno individuati e puniti.
 
Credo nelle aziende sane che vedo e negli imprenditori onesti con cui parlo. Ed è per questo che non mi spaventa la Flex Security. Anzi sono convinto che aiuterà tanti giovani a trovare un posto di lavoro.
Ti dico che dal 7 gennaio avrò una risorsa in più. Per la prima volta sarà una assunzione temporary (con contratto somministrato di un anno - e poi vediamo) a rafforzare la gestione dei tecnici e dei contratti. Laureata, siciliana, 28 anni, bravissima, 110 e lode, con tanta voglia di lavorare . Non puoi immaginare quanto piacerebbe a me (ed al mio capo) assumerla a tempo indeterminato, tenercela ben stretta. Ma di questi tempi, con i vincoli che abbiamo e con l'incertezza che regna, da Zurigo ci hanno assolutamente vietato una assunzione definbitiva. Anzi, tanta grazia che ho avuto l'autorizzazione. E noi facciamo utili....
Queste sono le aziende. Hanno paura di assumere. E fino a quando l'economia tira non hanno alcuna voglia di licenziare. Ma scherziamo ?
 
4) Come ho detto ieri sera: "tutti i conti alla fine debbono tornare". Per me è il primo principio della Economia. Ed alla fine qualcuno paga sempre.
 
Ne dobbiamo tener conto sempre. Quando curiamo il nostro bilancio familiare, quando siamo in azienda e pure quando facciamo politica.
Permettimi due esempi:
Io sono contento per quelli che sono andati in pensione a 50-55 anni e grazie ai progressi della medicina vivranno fino ad 80-85-90. Gli auguro anche 120 anni di vita. E non mi preoccupa di dover lavorare magari fino a 70 anni per pagargliela (non sono invidioso di natura e poi ogni generazione ha le sue sfighe - penso a quelli che si sono fatti la prima o la seconda guerra mondiale). Mi domando: è sostenibile un sistema del genere senza crescita demografica ed economica ?
La medicina costa. Ci permette di curare sempre più malattie. E la ricerca e le cure sono sempre più costose. E' giusto concedere a tutti questi benefici: ricchi e poveri ? Assolutamente SI. Mi domando: ma possiamo pagarci un sistema universale sempre più costoso senza crescita ?
 
Attenzione alle facili ricette, quindi.
Possiamo fare deficit. Ma qualcuno dovrà prima o poi pagarlo.
Se facciamo debito pagheranno i nostri figli.
Se facciamo inflazione pagheranno i più deboli, i più poveri. Quelli che non possono scappare, quelli che non possono portare i soldi all'estero.
Sono convinto che l'unico modo di sostenere un deficit più alto (in valore assoluto) è aumentare il denominatore (PIL). Quindi sviluppo e crescita.
 
5) E' cambiato il mondo. Lo ha cambiato la tecnologia che lo ha rimpicciolito.
Forse può non piacerci. Ma non possiamo tornare indietro.
Quello che era possibile e consentito prima, non ci è più concesso.
Ed in un mondo interconnesso e piccolo non possiamo fare quello che vogliamo.
 
6) In ultimo e, permettimi, questa è l'unica nota cattiva. Quando sento parlare di decrescita felice mi viene un pò da ridere.
Non perchè non sia vero. Il secondo principio della termodinamica lo conosco bene anche io. E' ineluttabile.
Rido invece perchè mi sembra che sia un'osservazione molto ma molto parziale (ed egoistica).
 
Rido perchè davvero non capisco chi debba davvero fermarsi e decrescere. Noi, l'Europa o il mondo ?
Qui da noi in realtà c'è poco sforzo da fare. Stiamo già decrescendo --- da tre-quattro anni. Non c'è molto da gridare.
L'Europa ? Magari si, i tedeschi se lo meritano. Ma dobbiamo essere davvero bravi a convincerli.
Se invece vogliamo fermare il mondo proprio adesso mi sembra onestamente ingiusto. Ci sono 5 Miliardi di persone che hanno cominciato a crescere adesso. E non hanno alcuna voglia di fermarsi.  
 
 
A questo punto mi fermo.
E mi domando solo se è possibile condividere un percorso di progresso in comune.
 
Penso e spero di si.
Ciao (a presto)
Enzo Marino

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