DEDICATO
AI RAGAZZI E ALLE RAGAZZE DEL GRUPPO APERTO
(
e con questo scritto voglio ricordare, in modo particolare, coloro, tra questi
ragazzi che volevano cambiare il mondo ed hanno cambiato la realtà in cui viveva
noma che oggi che non sono più tra noi, ma restano impressi indelebilmente
nella nostra memoria: Stefano Mattavelli, Flavio Pirola, Giuseppe Villa, Raffaele
Cariglia )
Sono uno di quei ragazzi di Bussero che più di 40 anni fa iniziarono
insieme un percorso di vita dedicata all’ impegno civile. Bussero era poco più
che un borgo, duemila anime, iniziava all’Oratorio e finiva al Circolo.
Null’altro, e tanta tanta nebbia. Per chi come me veniva da Milano, una vera
sofferenza. Eppure ci trovammo, prima in pochi e via via sempre di più a voler
“cambiare la nostra piccola realtà”, ci guidava la tangibile speranza di poter
“cambiare il mondo”. Dall’esperienza di fede oratoriana e missionaria avevamo
appreso, sull’onda dell’insegnamento di Don Milani , dell’Abbé Pierre, di
Maritain, dei preti della Resistenza come Don Mazzolari, e dei molti preti
operai e dalle grandi personalità cristiane da Padre Turoldo a Ernesto
Balducci, che allora animavano la vitale realtà post-conciliare, quella uscita
dal volere del Papa “Buono” Giovanni XXIII°, che il senso vero e concreto
dell’essere cristiani stava nello stare sempre dalla parte dei più deboli, dei
più poveri, degli ultimi, dei più diseredati. Il salto all’incontro con il
comunismo fu “naturale”, anche se ci furono dei passaggi, graduali di
elaborazione personale e collettiva. Quel salto fu favorito sia dall’impatto
repentino, per molti di noi, col mondo del lavoro. A 16, 17 anni lasciammo in molti
la scuola diurna per fare il serale e lavorare in fabbrica, i più da operai, di
giorno ( 8 ore e più di lavoro diceva allora il contratto, e poi altre 4 di
scuola la sera, e ancora almeno un'altra
ora a studiare……sveglia alle 6 e a nanna all’1 di notte ) per molti di noi
questa fu la vita quotidiana da giovane
per 5 o 6 anni, per alcuni poi l’università altri 4 o 5 anni. Si lavorava, si
studiava e si faceva impegno sociale. Ma ci si divertiva anche se un po’
“faticosamente”: il cinema qualche volta rigorosamente in bicicletta a Cernusco,
oppure Cassano o Melzo; ma c’era pure un
salone all’oratorio dove qualcuno di noi a turno passava la domenica pomeriggio
impegnandosi a far funzionare una antiquata macchina cinematografica “ a carboncini”. Talvolta, non tutti tra noi a
dire il vero, in discoteca, i primi
locali per giovani ( Everest, Lunik, Samoa, Castello, Fiorani, …) e più spesso
al baretto del “Bertin” dove col juke box e il flipper tra un gelato e un
“piciu paciu” si passavano le domeniche
e le feste comandate, dopo la messa del mattino. E fu anche un fiorire di
piccoli club per lo più utili ad ascoltare qualche “disco”, e fare qualche
“festino” dove scambiare le prime forme di “conoscenza” tra ragazzi e ragazze.
La scuola di quei tempi, era una
scuola classista, nel vero senso della parola, i figli di operai prima del ’68
erano “naturalmente orientati” a fare la
formazione professionale che allora si chiamava apprendistato, qualche nozione
stantia e via subito in fabbrica……………naturalmente da “apprendisti”, solo dopo
qualche anno, operai comuni. I figli dei più ricchi ( professionisti, imprenditori soprattutto, ma
anche molti artigiani e commercianti e della “piccola borghesia” ) invece e più
spesso avevano il liceo, dovevano ”naturalmente”
divenire la futura classe dirigente del paese. Fu il ’68 a cambiare quella
realtà fossilizzata e di “classe”, dove
il cosiddetto ascensore sociale ai primi
piani si fermava quasi sempre. Le prime lotte a scuola, i primi scioperi e
manifestazioni le ho fatte, sembra ora impossibile, a 16 anni per ottenere una
cosa che mi sembrava banale, ma banale non era, ottenere il laboratorio di
officina con i torni e le frese, perché ci pareva, a noi giovanissimi studenti
di meccanica, che avremmo dovuto diventare “capo tecnico”, quindi capi o
capetti degli operai comuni, fare 5 o 6 anni di scuola e non sapere usare nella
pratica , anzi senza neppure vederli, se
non in fotografia sul libro di tecnologia, un tornio o una fresa. Altro che ideologia,
c’era sacrosanto pragmatismo. Per tutta risposta fummo presi a getti d’acqua
fredda o malmenati dalla polizia.
E’ in quel contesto pieno di
speranza e di presa di coscienza della giustezza delle nostre idee, che maturò
anche nella nostra piccola realtà, la voglia di cambiare.
Nacque il Gruppo Aperto, si proprio
“aperto” perché si voleva rendere quell’esperienza un processo aperto a tutti
coloro che volevano impegnarsi per migliorare il mondo a partire dalla propria
realtà indipendentemente dalla loro opzione politica partitica o ideologica. Un
fatto davvero inusuale allora. E fu subito una valanga di iniziative,
l’aiuto agli “emarginati” tra cui molti bambini, che vivevano alla Cascina
Gogna, gli “immigrati “di allora bresciani, meridionali, qualche veneto, e poi
la lotta anche legale con l’avvocato
delle ACLI, contro affitti salati e
condizioni abitative da quarto mondo, il doposcuola gratuito per i figli dei
lavoratori, ma anche il volantinaggio la notte di Natale davanti alla Chiesa
per ricordare ai busseresi intenti a pensare al natale consumista che già
allora imperversava, le vittime della
guerra in Viet-Nam, oppure l’autoriduzione delle bollette della luce e del gas
organizzata per protestare contro gli aumenti antipopolari del governo e che
porto centinaia di famiglie busseresi a pagare di meno per alcuni mesi fino
all’ottenimento della riduzione, La battaglia storica per avere una biblioteca e una dotazione di libri
adeguata che non fossero la collana di Liala, e
dei luoghi dover potersi riunire in assemblea, leggere un libro,
ascoltare della musica, fare teatro, svolgere attività ludiche. Battaglia che
vincemmo dopo qualche anno con l’avvento al governo del paese della sinistra
unita di PCI e PSI., e che ancora oggi è patrimonio dell’intera comunità. Le
domeniche passate a raccogliere o sistemare rottamaglie e mobili vecchi con il
nostro amico più adulto, un po’ la nostra guida morale, Fausto Beretta alla Comunità milanese di
Emmaus, e poi il teatro in pochi e senza mezzi, per giungere molti anni dopo,
passando da incontri di innegabile qualità nazionale ed internazionale come la Comuna Baires, o il
Teatro del Sole, Quelli di Grock, tutte esperienze che hanno costruito nel
tempo l’ossatura culturale degli attuali gruppi teatrali dal Gruppo Teatro a
Caravan de Vie. Le prime battaglie organizzate delle donne e per le donne per
la dignità, per la salute con l’ottenimento dei consultori familiari, per la
liberazione dall’oppressione di una società profondamente maschilista,
attraverso anche un loro personale e collettivo percorso di autocoscienza, teso
a modificare in senso egualitario anche il tradizionale rapporto tra i sessi.
Ma anche le domeniche passate vicino ai
semafori della Martesana a raccogliere
fondi e medicinali o alimentari per le organizzazioni terzomondiste come Africa
70, Mani Tese. Decine e decine di ragazzi e ragazze, che divertendosi, e in
grande spirito di unità ed amicizia applicavano nella loro realtà il loro
essere “cristiani davvero” perché “comunisti davvero”. Quindi la politica, il
comunismo come orizzonte possibile. Alcuni di noi, (io, Valerio, Giuseppe,
Giovanni, “il Frana”, “il Facco”), al seguito dell’incontro intellettuale con
il gruppo di “eretici” comunisti de “il manifesto”, cacciati dal PCI nel 1971,
e soprattutto con le letture della rivista omonima guidata da Magri, Rossanda,
Pintor, e molti altri “maestri” del giornalismo italiano che da lì presero
strada, fecero da avanguardie e nacque il gruppo de “il manifesto” che poi esportammo in tutta la Zona Martesana con la
nascita di quello che si chiamava “Intergruppi di Zona” un coordinamento teso a
socializzare le esperienze di lotta e di impegno sociale che si diffuse per
tutta la zona. Poi via via il PdUP fino a poco oltre la metà degli anni ’80.
Quindi la diaspora nel PCI, poi PDS, DS e PD per alcuni e per altri, e di più,
il Centro per l’Alternativa e ora Sinistra per Bussero, ma anche il sindacato,
la CGIL, il SUNIA, oltre al lavoro, la famiglia, i figli, ora i nipoti. In una
straordinaria continuità di impegno civile, sociale, politico. Per alcuni anche
l’esperienza amministrativa, proficua, unitaria, onesta, affidabile, da consiglieri comunali, da
assessori.
40 anni e tanti ragazzi e ragazze
che nel loro piccolo hanno fatto la “rivoluzione”. Una rivoluzione che ha modificato
in profondità la cultura e la realtà locale.
La Bussero di oggi, con le sue
qualità di realtà vivibile ambientalmente e socialmente solidale, amministrata
bene e con onestà da 36 anni , è anche il frutto dell’impegno e della scelta di
vita di quei ragazzi che 40 anni fa si riunirono in “Gruppo Aperto” per
cambiare il mondo.
A quei ragazzi Bussero deve molto.
Vitaliano Serra
Dedicato a
tutte le ragazze e i ragazzi che, anche in tempi e modi diversi, hanno contribuito a fare, e in molti
continuano a fare, un pezzo di storia
del nostro Paese:
Ada Marchesi,
Adriana Sabaini, Adriano Frugoni, Adriano Mattavelli, Adriano Porcellini,
Ambrogio Calloni, Antonio Mandarino, Aurelio Sardi, Carla Erba, Carlo
Barlassina, Carmelina Mandarino, Claudio Barlassina. Enrico Brambillasca,
Enrico Galbiati, Enrico Manfredini, Ester De Meis, Ezio Barlassina, Fausto
Beretta, Flavia Marchesi, Flavio Pirola, Franca Calledda, Franco Moret, Giglio
Barlassina, Gina Romano, Giovanni Villa.
Giulio Omati. Giuseppe Galbiati. Giuseppe Villa. Isabella Dozio/Cavallaro,
Leonardo Serra, Maria Bambina Dozio/Cavallaro, Marino Pinti, Mario Serra,
Massima Ghiani, Massimo Brambilla, Maurizio Rotta, Nicolina Ferreri. Ornella
Ponzellini, Pietro Calloni, Raffaele Cariglia, Rosella Ponzellini, Rosy Spina,
Salvatore Spina, Stefano Banfi, Stefano Mattavelli, Tiziano Perego, Valentino
Villa, Valerio Marchesi, Vitaliano Serra……..…e occasionalmente molti altri ragazzi e ragazze di Bussero.
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