mercoledì 30 settembre 2015
martedì 22 settembre 2015
lunedì 14 settembre 2015
“È vietato rassegnarsi, il mondo si può cambiare”
“È vietato rassegnarsi, il mondo si può cambiare”
Partendo dal mito della caverna di Platone, Diego Fusaro invita con Il domani è nostro a credere in un futuro migliore
Diego Fusaro,31 anni
12/10/2014
CLAUDIO GALLO
Bisognerebbe smettere di chiamare Diego Fusaro «giovane filosofo», nonostante abbia soltanto 31 anni. Dopotutto ha ormai diversi libri di successo alle spalle, come il bestseller filosofico Bentornato Marx! e Il futuro è nostro, appena uscito da Bompiani. Seguace indipendente di Hegel, Marx e Gramsci, docente all’Università San Raffaele di Milano, critica radicalmente la nostra società, senza risparmiare «la falsa coscienza» della sinistra. Un atteggiamento che nel mondo della fine della storia conferisce un caratteristico sentore di zolfo.
«Il futuro è nostro» parte dalla caverna di Platone per dire come il singolo non deve rinunciare a desiderare un mondo più vero e più giusto, un’aspirazione che si realizza compiutamente nella dimensione sociale. Ma non ci aveva spiegato Popper che Platone era una specie di proto-nazista?
«Si può essere liberi solo se libera è la società. L’essere liberi, con buona pace delle retoriche neoliberali, non è questione meramente individuale. Metafora dell’unione inscindibile di verità e liberazione, la caverna di Platone ci insegna che il compito della filosofia non arresa all’esistente è affrancare l’umanità dalle catene ideali e materiali, dalle ideologie e dalla schiavitù che domina in un mondo che continua a proclamarsi libero. Dalla sua prospettiva liberale, Popper demonizzava Platone, Hegel e Marx come precursori dei totalitarismi: io li recupero integralmente, mostrando come non vi sia società meno “aperta” e più totalitaria di quella capitalistica. Essa ci imprigiona nella caverna e ce la fa amare, illudendoci che essa sia il solo mondo possibile. Oggi, complice l’ideologia dominante, il sistema si presenta come “gabbia d’acciaio” da cui non è possibile evadere: occorre, allora, tornare a pensarlo come caverna da cui si può uscire; a patto, naturalmente, che si comprenda la natura autenticamente falsa e totalitaria del mondo in cui siamo prigionieri, anziché continuare a viverlo come un destino ineluttabile o come il trionfo della libertà».
Lei individua in Robinson Crusoe la figura emblematica dell’individualismo che domina la nostra società: perché dovremmo sentirci naufraghi su un’isola deserta?
«Robinson è il paradigma del soggetto moderno. E’ incapace di intrattenere relazioni autentiche con l’altro: la sola forma relazionale che egli conosce e pratica è quella incardinata sull’utile e sul tornaconto personale, ai danni del povero Venerdì di turno. La nostra è, oggi, una società di Robinson isolati ed egoisti, incapaci di instaurare relazioni con l’altro. In riferimento al mondo moderno Hegel parlava di “sistema dell’atomistica”, a sottolineare come – oggi più di ieri – viviamo nel tempo della morte del legame comunitario. Il mio libro è un tentativo di reagire a tutto questo, ripartendo da Hegel e da Aristotele, e dunque dall’idea dell’uomo come animale politico e comunitario».
La percezione generale è che il nostro mondo sia il più libero e tollerante della storia, perché lei sostiene invece che la democrazia occidentale sarebbe il più perfido dei totalitarismi?
«È il totalitarismo perfettamente realizzato, il più subdolo e ingannevole: infatti, illude i suoi sudditi di essere liberi. Quale totalitarismo – rosso o nero – sarebbe riuscito a piazzare nelle tasche dei suoi sudditi un telefono cellulare? Quale sarebbe riuscito a schedare tutti i suoi sudditi, come accade oggi con Facebook e Twitter? Nell’odierno gregge omologato della società di massa, ognuno fa ciò “liberamente”, pensando di essere libero di compiere quel gesto intimamente necessitato dalle logiche del sistema. È una gabbia d’acciaio in cui puoi fare tutto ciò che vuoi, fuorché pensare una società diversa e batterti per la sua realizzazione. Quando un mondo storico riesce a convincere i suoi abitatori di essere il solo mondo possibile, allora può allentare la presa sui corpi, perché è “totale” quella sulle anime».
Lei individua nella Russia di Putin un polo di resistenza all’omologazione globale. L’attuale società russa non sembra però esattamente un modello da esportare.
«Putin non è Lenin (purtroppo!): e tuttavia dispone di autonomia strategica e di armi di dissuasione di massa. Per questo, pur con tutti i suoi manifesti limiti, la Russia ha oggi il compito di appoggiare il più possibile gli Stati resistenti all’impero americano, ponendosi essa stessa come Stato che resiste: con la potenza russa, è come se al ritratto stilizzato del presidente americano Obama accompagnato dall’asserto yes, we can si affiancasse un’analoga immagine di Putin, a sua volta associata alla scritta no, you can’t».
venerdì 11 settembre 2015
mercoledì 9 settembre 2015
Sottrarre la democrazia al controllo dei creditori
Sottrarre la democrazia al controllo dei creditori
Un gruppo di economisti di fama internazionale ha firmato un appello affinché i Paesi Membri dell’Unione Europea votino, durante l’Assemblea Generale dell’ONU del 10 settembre, a favore di una risoluzione per la gestione democratica dei debiti sovrani, affinché le sorti dei Paesi indebitati vengano sottratte al mercato dei debiti, come nel caso dell’Argentina prima e della Grecia poi.
«La crisi greca ha mostrato che in assenza di un quadro politico internazionale, che permetta una gestione ragionevole dei debiti sovrani, e malgrado la loro insostenibilità, uno Stato da solo non può ottenere delle condizioni praticabili per la ristrutturazione del proprio debito. Durante le negoziazioni con la Troika, la Grecia si è imbattuta in un ostinato rifiuto in tema di ristrutturazione, in contrasto con le raccomandazioni stesse del Fmi.
Esattamente un anno fa a New York, l’Argentina, sostenuta dai 134 Paesi del G77, ha proposto in sede Onu di creare un comitato che stabilisse un quadro legale a livello internazionale per la ristrutturazione dei debiti sovrani. Il comitato, sostenuto da un gruppo di esperti dell’Uctad, vuole adesso sottoporre al voto 9 principi, che dovrebbero prevalere durante le ristrutturazioni dei debiti sovrani: sovranità, buona fede, trasparenza, imparzialità, trattamento equo, immunità sovrana, legittimità, sostenibilità, regole maggioritarie.
Negli ultimi decenni si è assistito all’emergere di un vero e proprio mercato del debito a cui gli Stati hanno dovuto sottostare. L’Argentina, prima in questo processo, ha dovuto affrontare i cosiddetti “fondi avvoltoio” quando ha scelto di ristrutturare il proprio debito. Questi fondi, di recente, hanno ottenuto per mezzo della Corte americana il congelamento degli asset argentini posseduti negli Stati Uniti.
Ieri all’Argentina, oggi alla Grecia, domani forse alla Francia o a qualsiasi Paese indebitato può essere negata nelle attuali condizioni la possibilità di una ristrutturazione del debito nonostante il buon senso. Adottare un quadro legale rappresenta un’urgenza per assicurare la stabilità finanziaria, permettendo a ciascun Paese di risolvere il dilemma tra il collasso del sistema finanziario e la perdita di sovranità nazionale.
Questi 9 principi riaffermano la superiorità del potere politico, attraverso la sovranità nazionale, nella scelta delle politiche pubbliche. Essi limitano la spoliticizzazione della struttura finanziaria, la quale ha escluso finora ogni possibile alternativa all’austerity, tenendo in ostaggio gli Stati.
L’Onu deve quindi farsi sostenitore di una gestione democratica del debito e della fine del mercato dei debiti.
Un’iniziativa simile aveva fallito nel 2003 al Fondo Monetario Internazionale.
Oggi, la posizione degli Stati europei rimane ambigua, nonostante il loro supporto sia fondamentale affinché questa risoluzione possa essere attuata. I Paesi europei si sono disinteressati al processo di democratizzazione non mostrando alcun supporto alla creazione del comitato.
Ma la situazione greca ha mostrato che non c’è più tempo per tergiversare.
Se gli eventi dell’estate hanno rafforzato i nazionalismi e la sfiducia dei cittadini verso le istituzioni internazionali, oggi gli europei sono chiamati a riaffermare i diritti democratici, da anteporre alle regole di mercato nella governance internazionale.
Chiediamo quindi che tutti gli Stati Europei votino a favore di questa risoluzione».
Primi firmatari
Gabriel Colletis
Giovanni Dosi
Heiner Flassbeck
James Galbraith
Jacques Généreux
Martin Guzman
Michel Husson
Steve Keen
Benjamin Lemoine
Mariana Mazzucato
Ozlem Onaran
Thomas Piketty
Robert Salais
Engelbert Stockhammer
Xavier Timbeau
Bruno Théret
Yanis Varoufakis
Gennaro Zezza
(traduzione Marta Fana, fonte il manifesto)
lunedì 7 settembre 2015
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