Care e cari amiche/ci la mail di
Vincenzo Marino mi ha stimolato nel raccogliere le idee e intervenire nel
confronto avviato da Gianni Marcatili, il risultato è quello che Vi invio con
le annotazioni in coloro rosso che seguono ogni punto richiamato da Vincenzo:
Da Franco Bassanini a Tiziano Treu a Guido Enrico Tabellini passando per Stefano Ceccanti, Pasquale Pasquino e Salvatore Vassallo. Quasi 200 giuristi, tra professori ordinari, associati e ricercatori protagonisti della vita accademica degli atenei italiani, hanno rotto gli indugi e sottoscritto un manifesto per il "Sì" al referendum sulla riforma costituzionale. Le ragioni, più di una, sono elencate e spiegate punto per punto in un documento elaborato quasi a compendio degli argomenti usati dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che nelle sue più recenti uscite pubbliche ha ricordato soprattutto la volontà di tagliare le poltrone più appetibili in un Paese, l'Italia, con troppi politici.
Anche Renzi ha i suoi professori. L’appello dei “docenti per il SI” è un
contrappello in risposta ai costituzionalisti che hanno invece e per primi avviato il loro appello
contro la revisione costituzionale. Ce ne sono ben 184, ma non sono tutti
costituzionalisti e neppure tutti giuristi, ci sono filosofi, storici,
economisti, tributaristi, sociologi, ma non veri e propri esperti in complesse
materie costituzionali. Molti di essi inoltre non sono neppure docenti, ma
associati e ricercatori, cosa non proprio corretta se gli stessi dovranno superare un concorso
per poi diventare veri docenti e magari saranno giudicati da accademici che
hanno o meno aderito all’uno o all’altro appello.
I FIRMATARI DEL MANIFESTO PER IL "SI"
I firmatari del manifesto riconoscono alla riforma,
varata in Parlamento "con una larga maggioranza" di affrontare
"efficacemente alcune fra le maggiori emergenze istituzionali del nostro
Paese". "Nel progetto - scrivono - non c'è forse tutto, ma c'è molto
di quel che serve, e non da oggi". Segue l'elenco, "a titolo
ricognitivo".
1. "Viene superato l'anacronistico bicameralismo
paritario indifferenziato, con la previsione di un rapporto fiduciario
esclusivo fra Camera dei deputati e Governo. Pregio principale della riforma,
il nuovo Senato delinea un modello di rappresentanza al centro delle istituzioni
locali. E' l'unica ragione che oggi possa giustificare la presenza di due
Camere. Ed è una soluzione coerente col ridisegno dei rapporti fra
Stato-Regioni. Ne trarrà vantaggio sia il rapporto fiduciario fra Governo e
Parlamento, che rimane in capo alla sola Camera dei deputati, superando così i
problemi derivanti da sistemi elettorali diversi, sia l'iter di approvazione
delle leggi".
2. "I procedimenti legislativi vengono articolati
in due modelli principali, a seconda che si tratti di revisione costituzionale
o di leggi di attuazione dei congegni di raccordo fra Stato e autonomie, dove
Camera e Senato approvano i testi su basi paritarie, mentre si prevede in
generale una prevalenza della Camera politica, permettendo al Senato la
possibilità di richiamare tutte le leggi, impedendo eventuali colpi di mano
della maggioranza, ma lasciando comunque alla Camera l'ultima parola. La
questione della complicazione del procedimento legislativo non va
sopravvalutata, poiché non appare diversa la situazione di tutti gli Stati
composti: in ogni caso, e di nuovo in continuità con le esperienze comparate,
la riforma prevede la prevalenza della Camera politica".
Non è vero, infatti la cosiddetta “navetta” tra un ramo e l’altro del
Parlamento sopravvive anche con la revisione costituzionale. Alcune leggi ( in
ben 22 materie ) dovranno passare
obbligatoriamente al vaglio sia della Camera che del nuovo Senato, e in altri
casi se il Senato ne farà richiesta e poi torneranno alla Camera per la terza
deliberazione. Il nuovo iter legislativo in sintesi funzionerà così: il disegno
di legge parte dalla Camera, che lo approva. Il Senato su richiesta di almeno
1/3 entro 10 giorni può chieder di discuterlo ed emendarlo nei successivi 20
giorni. A quel punto la Camera lo deve riapprovare ma anche non tenendo conto
delle parti emendate e lo riapprova a maggioranza semplice. Ma non sempre, per
una lunga serie di materie, se vuole
ignorare tali emendamenti deve farlo a maggioranza assoluta ed entro 10 giorni.
Ma non finisce qui infatti c’è una
procedura diversa per le leggi di bilancio
dove il passaggio sarà obbligatorio in tre passaggi Camera, Senato,
Camera. Ma con tempi stringatissimi per esaminarli da parte del Senato che sarà
obbligato a chiudere la partita in 30 giorni max. E comunque la camera ha
priorità e decide tutto ciò che vuole senza possibilità di emendamenti da parte
di alcuno.
3. "La riforma del Titolo V della Costituzione
ridefinisce i rapporti fra lo Stato e Regioni nel solco della giurisprudenza
costituzionale successiva alla riforma del 2001, con conseguente incremento
delle materie di competenza statale. Nello stesso tempo la riforma tipizza
materie proprie di competenza regionale, cui corrispondono in gran parte leggi
statali limitate alla fissazione di "disposizioni generali e comuni".
Per la prima volta, non si assiste ad un aumento dei poteri del sistema
regionale e locale, bensì ad una loro razionalizzazione e riconduzione a
dinamiche di governo complessive del paese. La soppressione della legislazione concorrente
serve razionalizzare in un'ottica duale il riparto delle materie e comporta di
per sé una riallocazione naturale allo stato o alle regioni della competenza a
disciplinare, rispettivamente, i principi fondamentali e le norme di dettaglio
che già spettava ad ognuno di essi. Inoltre, l'impianto autonomistico delineato
dall'art. 5 della Costituzione non viene messo in discussione perché la riforma
pone le premesse per un regionalismo collaborativo più maturo, di cui la Camera
delle autonomie territoriali costituirà un tassello essenziale. Con la riforma,
peraltro, non viene meno il principio di sussidiarietà e dunque la dimensione
di una amministrazione più vicina al cittadino rimarrà uno dei principi
ispiratori della Costituzione".
I rapporti tra Stato e Regioni con il nuovo art. 117 le Regioni e gli
Enti Locali perdono quasi completamente la loro autonomia
legislativa e lo Stato centralista potrà
fare e disfare tutto ciò che vorrà. Un passo indietro enorme fa tornare
di competenza esclusiva dello Stato centrale una serie di importanti materie
istituzionali con forti ricadute sulla vita dei cittadini e sull’uso del
territorio come le politiche dei
trasporti l’energia, la finanza
pubblica, il sistema tributario, tutela e sicurezza del lavoro, politiche
sociali, istruzione e formazione professionale. Con buona pace dell’idea federalista anche solo
autonomista che porterà ad esempio ad azzerare qualsiasi possibilità di
intervento degli enti locali su decisioni importanti che riguardano l’uso del
territorio ( percorsi di strade, ferrovie, siti ambientali ( inceneritori ,
discariche, ecc. ), trivelle, poli direzionali, sportivi, aree industriali o
commerciali.Inoltre è vero che si
attribuiscono competenze regionali in
materie molto vaste, ma queste vengono
di fatto contraddette dalla “ clausola di supremazia” dello Satto
centrale. Che sarà esclusiva competenza
del Governo e non del Parlamento. Si ritorna al concetto degli anni ’50 dell’interesse nazionale su
tutte le materie legislative, peraltro dando poteri assoluti al Governo e
nemmeno al Parlamento, così calpestando ogni idea di “autonomia locale”. Altro
che avvicinare lo Stato ai cittadini.
4. "I poteri normativi del governo vengono
riequilibrati, con una serie di più stringenti limiti alla decretazione
d'urgenza introdotti direttamente nell'articolo 77 della Costituzione, per
evitare l'impiego elevato che si è registrato nel corso degli ultimi anni e la
garanzia, al contempo, di avere una risposta parlamentare in tempi certi alle
principali iniziative governative tramite il riconoscimento di una corsia
preferenziale e la fissazione di un periodo massimo di settanta giorni entro
cui il procedimento deve concludersi".
5. "Il sistema delle garanzie viene
significativamente potenziato: il rilancio degli istituti di democrazia
diretta, con l'iniziativa popolare delle leggi e il referendum abrogativo
rafforzati, con l'introduzione di quello propositivo e d'indirizzo per la prima
volta in Costituzione; il ricorso diretto alla Corte sulla legge elettorale,
strumento che potrà essere utilizzato anche sulla nuova legge elettorale appena
approvata; un quorum più alto per eleggere il Presidente della Repubblica. Del
resto i contrappesi al binomio maggioranza-governo sono forti e solidi nel nostro
paese: dal ruolo della magistratura, a quelli parimenti incisivi della Corte
costituzionale e del capo dello Stato, a un mondo associativo attivo e
dinamico, a un'informazione pluralista".
I poteri del Governo e in primis del suo
leader-padrone non avrà più bisogno di decretazioni d’urgenza per far passare le leggi che più gli interessano, svilendo di fatto il ruolo del parlamento, del Quirinale, della
Consulta, delle Autorità indipendenti, della Magistratura e della Rai. Non a
caso gli stessi firmatari dell’appello del si riconoscono, nelle sue figure più
rappresentative come Carlo Fusaro ed altri, che ammettono che la riforma
“rafforza il potere del governo in Parlamento”. Un vero e proprio eufemismo per
non dire che si crea un premierato pressoché assoluto secondo cui il capo di un
qualsiasi partito che raggiunga alle elezioni anche solo il 20 %- 25% dei voti potrà ottenere il 54% dei parlamentari, e a quel punto
nominarsi il Presidente della Repubblica, un bel po’ di giudici costituzionali,
e di membri laici del CSM, le Autorità “ non più indipendenti”, e i vertici
della RAI TV. Inoltre il governo si impadronisce dell’agenda dei lavori parlamentari che saranno detatti dal governo
stesso con il meccanismo delle leggi dichiarate “ d’urgenza” che dovranno
essere apporovate in non più di 70 giorni, mmentre la stessa corsia
preferenziale non è prevista per le leggi di iniziativa parlamentare né per le
leggi proposte dai cittadini. Le
cosiddette “garanzie” saranno tali solo per il premier e il governo non
per il Parlamento ne tantomeno per i cittadini.
6. "Viene operata una decisa semplificazione
istituzionale, attraverso l'abolizione del Cnel e la soppressione di qualsiasi
riferimento alle province quali enti costitutivi della Repubblica".
Il CNEL che avrebbe dovuto funzionare come luogo di confronto tra e con le
parti sociali costa oggi 4,5 milioni di
euro che sono per i soli dipendenti rimasti
e che, non verranno affatto ridotti ma passeranno alla Corte dei Conti. Sono
rimasti in 24 consiglieri su 64. La legge di stabilità 2015 ha abolito le loro
indennità, i rimborsi e tutte le spese per le loro attività. Di fatto operano senza oneri per lo Stato. Di fatto era già
stato abolito con leggi ordinarie.
7. "Infine, lo sforzo per ridurre o contenere
alcuni costi della politica è significativo: 220 parlamentari in meno (i
senatori sono anche consiglieri regionali o sindaci, per cui la loro indennità
resta quella dell'ente che rappresentano); un tetto all'indennità dei
consiglieri regionali, parametrata a quello dei sindaci delle città grandi; il
divieto per i consigli regionali di finanziare senza controlli i gruppi
consiliari; e, senza che si debba aspettare la prossima legislatura, parimenti
alle novità precedenti, la fusione degli uffici delle due Camere e il ruolo
unico del loro personale. Il testo non è, né potrebbe essere, privo di difetti
e discrasie, ma non ci sono scelte gravemente sbagliate (per esempio in materia
di forma di governo: l'Italia rimane una repubblica parlamentare!) o
antidemocratiche. A quanti, come noi, sono giustamente affezionati alla Carta
del 1948, esprimiamo invece la convinzione che - intervenendo solo sulla parte organizzativa
della Costituzione e rispettando ogni virgola della parte prima - la riforma
potrà perseguire meglio quei principi che sono oramai patrimonio comune di
tutti gli italiani. Si tratta ora però di raccogliere le sfide di una
competizione europea e globale che richiede istituzioni più efficaci, più
semplici, più stabili".
Bugia madornale: dal bilancio di previsione del senato 2016 il costo totale
odierno è di 540 mln. Di questi 79,5 lordi finiscono nelle tasche dei senatori,
tutti gli altri sono costi del personale amministrativo, deiu servizi, delle
forniture, del mantenimento e della manutenzione della sede centrale e degli
uffici. Le indennità degli attuali 315 senatori
ammontano a 42 mln lordi su cui i senatori fanno rientrare allo Stato
con l’Irpef ca. 14 mln. Nel “nuovo” Senato ci saranno 100 senatori nominati e
“stipendiati” dai loro consigli regionali o comunali, i quali sopporteranno di
avere dei membri delle loro istituzioni “dimezzati” pur pagandoli per intero (
non piccola annotazione spesso dimenticata) alla fine il risparmio netto sarà
di 28 mln ( cioè 42 – 14 = 28 ). Il Senato poi, versa altri 37 mln per le spese
sostenute dai suoi membri per lo svolgimento delle loro attività di mandato (
la diaria ( 13,6 mln ) , i rimborsi per le spese generali ( 6,4 mln ) , per la
dotazione di strumenti e attività informatizzate ( 0,6 mln ) e per ragioni di servizio ( 0,5 mln ).
Rimborsi e supporti che spetteranno egualmente ai “nuovi” senatori per svolgere
la loro attività “ avanti e in drè” da Roma alle loro sedi regionali o
comunali. Quindi siccome questi saranno 1/3
di quelli di prima i 37mln e rotti si ridurranno a 12 mln, con un
risparmio lordo di 25 mln e netto di 20 mln ( detratti 5mln di tasse non più versate
) Totale del risparmio 28+20= 48 mln, pari all’8,8% del costo attuale
complessivo. Lo stesso risultato si sarebbe ottenuto decurtando del 10% lo
stipendio complessivo di deputati e senatoiri senza toccare la Costituzione. Se
si aggiunge che si sarebbe potuto ( e perché no ? ) eliminare tutto il Senato e
dimezzare il numero dei deputati eletti
e pagarli la metà di quel che vengono pagati adesso, il risparmio vero
per i costi della politica sarebbe stato quello si vero e consistente per le
casse dello Stato. Ma l’obiettivo evidentemente non era quello.
"Per tutte queste ragioni di metodo e di merito -
concludono i firmatari del manifesto - noi siamo convinti che la grande
discussione nazionale che si apre in queste settimane e che continuerà fino
alla vigilia della consultazione referendaria potrà persuadere i cittadini
italiani della bontà della riforma approvata con coraggio dal Parlamento e
della sua utilità per il miglior governo del Paese. Il sì potrà garantire
meglio di qualsiasi altra scelta tutto questo".
C’è da restare stupefatti dalla pochezza e faciloneria con cui un
variopinto elenco di intellettuali di
altrettanto variopinte culture professionali , accademiche e politiche in cui
brillano molti notissimi adepti al culto del liberismo economico e del
“darwinismo” sociale, possano affermare in un appello pubblico a favore del SI
referendario , questa aperta
contraddizione in termini : “A quanti,
come noi, sono giustamente affezionati alla Carta del 1948 ( ndr. sic ! ) ,
esprimiamo invece la convinzione che - intervenendo solo sulla parte
organizzativa della Costituzione e rispettando ogni virgola della parte prima -
la riforma potrà perseguire meglio quei principi che sono oramai patrimonio
comune di tutti gli italiani. Si tratta ora però di raccogliere le sfide di una
competizione europea e globale che richiede istituzioni più efficaci, più
semplici, più stabili".
Del resto basterebbe avere un minimo di onestà intellettuale per
comprendere (e tanto più lo dovrebbero
fare persone che dicono di voler perseguire ancora oggi pur vaghi indirizzi
valoriali di sinistra , ma vedo che ciò è francamente scomparso come sentire comune di vaste masse un tempo
socialiste o comuniste e oggi definitivamente subalterne al pensiero unico
dominante liberista ) che:
1) Non è assolutamente vero che la revisione
costituzionale non incida sulla forma dello Stato, né su quella dei poteri
del governo. E’ vero il contrario: è
sempre più chiaro, infatti, come la forma di governo verrà modificata nelle
misura in cui il premier, soprattutto se anche capo di un partito o di un
movimento che abbia fatto incetta di seggi attraverso una legge elettorale
fatta ad hoc, avrà il toatle controllo del Parlamento. E la forma di stato va
verso una fortissima ricentralizzazione dei poteri.
2) E’ evidente come una siffatta revisione
costituzionale che attribuisce alla maggioranza di turno un potere abnorme,
avrà riflessi innegabili ed inevitabili anche sulla prima parte della
CVostituzione attraverso un ulteriore
probabile ridimensionamento dei diritti sociali ivi scolpiti, rendendo sempre
più semplice l’abuso di “prove di forza governative” che peraltro hanno già
caratterizzato l’azione di questo governo ad esempio nello smantellamento delle
tutele dei lavoratori; con ciò facilitando
quel che scientemente accade da alcuni decenni di indebolire e quindi
azzerare i contrappesi democratici
all’esecutivo.
3) Il tanto decantato snellimento
del procedimento legislativo si rivelerà una pia illusione alla luce del
nuovo art. 70 che porterà alla moltiplicazione dei conflitti di attribuzione di
fronte alla Corte Costituzionali, incrementando alla fine i tentativi di
ridurne i poteri verso una decisa svolta di stampo presidenzialista, e il
relativo abbattimento delle residue garanzie democratiche.
In ballo, cari amici c’è il futuro della Democrazia ( e una visione
della società ad essa coerente ) in un mondo in cui le potenti oligarchie economiche e finanziarie a tutti i
livelli stanno ristrutturando il proprio ruolo sullo scacchiere geo-politico ed
economico, le cui evidenti finalità puntano a svuotare dall’interno ( ove
ancora esistono come in Europa ) le
strutture democratiche degli Stati, e per fare questo hanno necessità di
distruggere superandole le Costituzioni democratiche e antifasciste nate alla
fine della 2° guerra mondiale. Nella chiara convinzione che queste siano ormai
incompatibili con la crescita dei loro profitti e della loro visione del mondo.
I pericoli sono reali e concreti e sarebbe buona cosa non
sottovalutarne la portata storica.
Bussero, 6 novembre
2016
Vitaliano Serra
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