Resilienza ed Empatia : adattarsi
o cambiare ?
Sono sempre più comuni sui media i
richiami alla resilienza, una
caratteristica del comportamento umano richiamata all’origine dalla metallurgia
e riferita alla capacità di un metallo o di un materiale a resistere ad un urto
traumatico senza spezzarsi.
Quella che nelle tradizioni culturali
occidentali più antiche viene più
correntemente denominata resistenza cioè la capacità di essere fermi e saldi
contro una forza che si oppone, senza lasciarsi abbattere, oggi va più di moda, anche nei comportamenti, la
resilienza.
Oggi si parla di "comunità
resilienti" ad esempio nel
caso della comunità di Detroit a seguito della crisi dove,
dopo il crollo della General Motors e la brutale deindustrializzazione, la
città si è svuotata dei suoi abitanti e il Comune ha dichiarato bancarotta.
Il significato è esplicito: piegarsi per
resistere meglio ma senza correre il rischio di spezzarsi, andare oltre ( ma di quale
oltre si intenda non sempre si capisce bene !). E
la sua apparizione nel dibattito attuale è dovuto alla psicologia.
Spesso la resilienza viene coniugata
all’altra parolina magica: ottimismo.
L'ottimismo assume differenti
configurazioni a seconda della cultura di appartenenza. Si è più o meno ottimisti, o pessimisti, per via
dell'appartenenza a una comunità o ad un'altra.
Nella società nordamericana il benessere
soggettivo è quasi un obbligo sociale, un mandato sociale. La ricerca della
felicità, scritta nel DNA di quel paese persino nella sua Costituzione ( che per farlo notare ai nostri “affrettati
e confusi riformatosi costituzionali” che affermano che la nostra Costituzione è
vecchia avendo “ormai” 70 anni, in realtà di anni ne ha ben 229 !), costituisce lo scopo ultimo
della vita degli individui: autoaffermazione, autostima, autogiustificazione
sono caratteri ben presenti in quel paese; l'individualismo infatti necessita
di una forte dose di ottimismo e naturalmente di egocentrismo. Una psicologa, Edith E. Grotberg,
studiosa di resilienza, ha proposto un modello per il mondo infantile per
superare le situazioni traumatiche fondato su: I have, I am, I can (io ho, io sono, io posso). Come non sentire in
questo l'eco dello stesso slogan elettorale di Obama?
Al contrario, come nelle democrazie
europee, in società caratterizzate da un sistema sociale più sobrio, severo, autorevole se non proprio autoritario, comunque disciplinato, in cui prevale la
collettività e l’individuo è compreso ma
non dominante, si dice prevalga il pessimismo.
In Cina, invece, l'impronta lasciata dal
confucianesimo nella cultura sposta dall'individuo alla società la spiegazione
degli eventi, e consente di perseguire una teoria
del cambiamento ciclico: è la via orientale
all'ottimismo.
Non sono in grado di affermare se questa
seconda strada sia migliore della prima per affrontare una questione assai
complessa, ma é interessante per valutare le diverse reazioni
umane allo stato di crisi che ha colpito il Sistema-Mondo a trazione capitalista con l’esplosione guidata dall’economia liberista, e in particolare i
paesi occidentali, ma credo che forse ci sia un’altra ipotesi percorribile per
un’umanità che nella sua stragrande maggioranza subisce pesantemente i contraccolpi della crisi, nelle sue varie
accezioni – finanziaria, economica, produttiva, ambientale e culturale – si chiama empatia cioè la capacità di
comprendere a pieno lo stato d'animo altrui, sia che si tratti di gioia, che di dolore. Empatia significa "sentire dentro", o "mettersi nei panni dell'altro",
ed è una capacità che fa parte dell'esperienza umana ed animale.
Paradigmi, quelli della resilienza e
dell’empatia, che s'avviano a diventare nei prossimi anni temi centrali nella
politica, oltre che nel sociale e nell’economico, nell'autorganizzazione delle singole comunità.
Credo che la sinistra ( critica e pensante in quanto appunto critica )
dovrebbe cominciare a pensarci per
rimettere all’ordine del giorno la necessità di socialismo, quale solo
sistema sociale capace di far prevalere gli interessi generali, su quelli
particolari, dare rilevanza al noi, riscoprire “gli altri” come condizione necessaria per un più pieno e
completo sviluppo di noi stessi.
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