Ho atteso qualche tempo prima di
affrontare il tema, sia per la necessità di informarmi con cognizione di causa
e senza pregiudizi,sia per la concomitanza con le festività natalizie. Ho
seguito con attenzione l’evolversi dello scambio di mail tra Gianni Marcatili
che ha di fatto avviato la discussione, sia i contributi di Bianca Zanin, sia
ovviamente quelli di Paolo Cova..
Non starò quindi qui a rifare la
tiritera su cos’è il Ttip. Ora, e sottolineo ora , una serie di notizie
sono finalmente giunte ai più, dopo che oggettivamente per oltre 1 anno e forse
più tale tematica veniva discussa e valutata in “gran segreto” solo da uno
sparuto gruppo di “tecnici” americani ed europei, lo dimostra il fatto
incontestabile che il primo e forse unico documento sull’argomento diffuso dalla
Commissione Europea su pressione di centinaia di associazioni ambientaliste,
dei consumatori, dei sindacati a livello internazionale sia americani che europei, sia da una
sentenza della Corte di Giustizia Europea che richiamava ad una maggiore
trasparenza, e da un articolo pubblicato da Le Monde Diplomatique, data il 9 ottobre 2014 quando la
trattativa, sollecitata dalle multinazionali americane, si è aperta ufficialmente nei primi mesi del
2013, ma è stata preceduta da una lunghissima preparazione diplomatica durata almeno 10 anni.
Già questo pone dei seri dubbi
sulle intenzioni “vere” dell’iniziativa, che viene “venduta ufficialmente” come
“ accordo commerciale e per gli investimenti” con l’obiettivo dichiarato di “
aumentare gli scambi e gli investimenti tra l’UE e gli USA realizzando il
potenziale inutilizzato di un mercato veramente transatlantico, generando nuove
opportunità economiche di creazione di posti di lavoro e di crescita mediante
un maggiore accesso al mercato e una migliore compatibilità normativa e ponendo
le basi per norme globali”.
Messa così sembrerebbe la ennesima grande indifferibile opportunità per
uscire dalla crisi del capitalismo occidentale e creare le condizioni per una
nuovo periodo di crescita globale e di benessere per tutti.
La realtà è lungi dall’essere
così benemerita e sarebbe qui sufficiente segnalare ( cosa peraltro ben
evidenziata da uno dei contributi inviatici da Bianca Zanin ) quanto scritto appunto su Le Monde
Diplomatique da Lori Wallach ( director of Public Citizen's Global Trade Watch. A Harvard-trained lawyer, Wallach has promoted
the public interest regarding globalization and international commercial
agreements in every forum: Congress and foreign parliaments, the courts,
government agencies, and the media ):
” Secondo il calendario
ufficiale, i negoziati non dovrebbero concludersi che entro due anni ( ndr. entro
il 2015 ). Il Ttip unisce aggravandoli gli elementi più nefasti degli accordi conclusi
in passato. Se dovesse entrare in vigore, i privilegi delle multinazionali
avrebbero forza di legge e legherebbero completamente le mani dei governanti.
Impermeabile alle alternanze politiche e alle mobilitazioni popolari, esso si
applicherebbe per amore o per forza poiché le sue disposizioni potrebbero
essere emendate solo con il consenso unanime di tutti i paesi firmatari. Ciò
riprodurrebbe in Europa lo spirito e le modalità del suo modello asiatico,
l’Accordo di partenariato transpacifico (Trans-pacific partnership, Tpp),
attualmente in corso di adozione in dodici paesi dopo essere stato fortemente
promosso dagli ambienti d’affari.
Insieme, il Ttip e il Tpp formerebbero un impero economico capace di dettare le proprie condizioni al di fuori delle sue frontiere: qualunque paese cercasse di tessere relazioni commerciali con gli Stati uniti e l’Unione europea si troverebbe costretto ad adottare tali e quali le regole vigenti all’interno del loro mercato comune.”
Insieme, il Ttip e il Tpp formerebbero un impero economico capace di dettare le proprie condizioni al di fuori delle sue frontiere: qualunque paese cercasse di tessere relazioni commerciali con gli Stati uniti e l’Unione europea si troverebbe costretto ad adottare tali e quali le regole vigenti all’interno del loro mercato comune.”
E inoltre:
“Possiamo immaginare delle multinazionali trascinare in
giudizio i governi i cui orientamenti politici avessero come effetto la
diminuzione dei loro profitti? Si può concepire il fatto che queste possano
reclamare – e ottenere! – una generosa compensazione per il mancato guadagno indotto
da un diritto del lavoro troppo vincolante o da una legislazione ambientale
troppo rigorosa? Per quanto inverosimile possa apparire, questo scenario non
risale a ieri. Esso compariva già a chiare lettere nel progetto di accordo
multilaterale sugli investimenti (Mai) negoziato segretamente tra il 1995 e il
1997 dai ventinove stati membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo
sviluppo economico (Ocse) “.
Ebbene, al di là della
piccata “irritazione ed amara ironia” colta nelle mail dell’amico Paolo Cova
che reputo francamente fuori luogo in quanto evidenziano un po’ di sindrome da
assedio che coglie oggi una buona parte dei nostri rappresentanti PD in Parlamento ( ndr. la stessa cosa ho
personalmente potuto sperimentare in altri incontri avuti anche su temi diversi
da parte di altri senatori o deputati ) che li porta a valutare con meno
serenità del necessario le critiche che vengono portate all’operato
dell’attuale governo intravedendo in ciascuna di esse il segno del pregiudizio
e dell’antipolitica. All’amico Paolo vorrei solo far notare che la sua news,
che leggo sempre volentieri, la n° 81 del 23 novembre 2014 affermava :
“Dall’America meno contraffazioni
In settimana, alla Camera, abbiamo approvato le mozioni
relative all’accordo di partenariato per il commercio e gli investimenti tra
Unione europea e Stati Uniti d’America noto come Transatlantic trade and
investment partnership (Ttip). Nei testi la Camera impegna il Governo ad agire,
in particolare nella fase del semestre italiano di Presidenza del Consiglio
dell’Unione europea, affinché siano concretamente valorizzate le previsioni
delle Direttive di negoziato sul partenariato circa l’impegno della Commissione
europea a sviluppare, nel corso della trattativa, un dialogo regolare con tutte
le parti interessate della società civile per consentire un avanzamento dei
rapporti rispetto all’impostazione del mandato originario. È un modo, un po’
burocratese, per dire che Europa e America devono migliorare l’accordo di
scambio. E in che senso è presto detto: prima di tutto sul fronte della
sicurezza alimentare.
Anzi, su quest’ultimo punto, il Ministro delle Politiche
agricole, Maurizio Martina, in audizione alla Camera, ha assicurato che
l’accordo non comporterà alcuna riduzione della sicurezza alimentare di cui
godono oggi i cittadini europei per facilitare le imprese o favorire
l’arricchimento delle multinazionali, in quanto tutte le garanzie verranno
mantenute e semmai migliorate. Il mandato prevede espressamente il diritto
delle parti di valutare e gestire il rischio. In sostanza, è sancito il diritto
di precauzione, affinché nel mercato europeo non entrino prodotti a rischio,
come, ad esempio, la carne con gli ormoni o il pollo trattato con la clorina.
Nella mozione proposta
dal Pd sul tema, il Governo viene impegnato a riaffermare la necessità per il
settore alimentare del riconoscimento delle indicazioni geografiche e del
contrasto dell’italian sounding, favorendo semmai le nostre piccole e medie
imprese.”
Come si vede dei buoni
propositi giunti alla “informativa pubblica” con 1 anno e mezzo di
ritardo. Ovviamente non per colpa di
Paolo Cova e certamente neppure del Ministro Martina.
Resta il fatto però che
seppure siano stati, io dico positivamente, approvati alcune “mozioni” relative
a tale accordo, le dichiarazioni ufficiali del Presidente Renzi, e del
rappresentante italiano alla trattativa il viceministro per lo Sviluppo
Economico, Carlo Calenda vanno in tutt’altra direzione. Proprio negli stessi
giorni dell’invio della neglette di Paolo Cova, e quindi successivamente alle
mozioni di cui si accenna in quella neglette,
“apprendiamo dal Financial Times, attraverso un articolo
che ha ottenuto un certo rilievo sul quotidiano (Oliver C., Donnan S.,
Europe-US trade talks delay upset Italy, www.ft.com, 23 novembre 2014 ), che l’Italia ha di recente suonato il campanello
d’allarme sull’insufficiente ritmo delle trattative e che essa è piuttosto
contrariata dai ritardi. Il rappresentante italiano, Carlo Calenda, tra l’altro
anche sottosegretario per lo sviluppo economico del nostro governo, ha
dichiarato, come riporta l’organo della City di qualche giorno fa, tutta la sua
impazienza al riguardo ed il timore che anche la data del dicembre 2015 si presenti
come un traguardo difficile da rispettare. Calenda paventa in particolare che,
se si va avanti con le trattative oltre la fine di tale anno l’opposizione da parte dei partiti
“anticapitalistici ed antiamericani”, nonché di molte organizzazioni non-governative,
diventino anche più forti. I suoi timori si estendono anche all’eventualità che
poi si entri in periodo elettorale, almeno negli Stati Uniti, e che le
discussioni si trascinino così sino al 2017 ed anche oltre. Naturalmente
Calenda appare d’accordo, per quanto riguarda lui e il suo governo, nel
lasciare il trattato sostanzialmente come è, comprese le clausole sulla
risoluzione delle dispute, anche se riconosce, bontà sua, che qualche
concessione al centro- sinistra tedesco bisognerà forse farla. La linea
italiana appare così nella sostanza simile a quella manifestata anche di
recente da David Cameron, peraltro in odore di uscita dall’UE”.
Ciò detto resta da
capire se, quando e soprattutto come tale accordo verrà posto in essere.
Io credo come la
quasi totalità dell’associazionismo, dei sindacati, dei movimenti dei
consumatori ,sottolineo sia europei che americani , che occorra vera
partecipazione, sia a livello di ascolto-trattativa e non di mera informativa
come finora si pratichi concretamente, evitando di sentirci dire, dai pochi ed
esclusivi negoziatori che “decidono e decideranno sulla nostra qualità della
vita” che “dobbiamo solo fidarci” di loro, che sono bravi e che difenderanno al
meglio i nostri interessi. In realtà Negli incontri preparatori in Commissione
ristretta su 560 consultazioni del Dipartimento Commercio, 520 ( il 92% ) sono
state fatte con le aziende e di questi ben 113 con l’industria agroalimentare,
la più potente a Bruxelles. Solo 26 ( il 4% ) sono stati invece gli incontri con
rappresentanti di interessi pubblici come i consumatori, e il restante 4% con
singoli o istituzioni. I numeri come si vede non sono affatto confortanti.
Dall’ultimo numero
del magazine ALTROCONSUMO autorevolissima rivista del consumo critico e di difesa
dei consumatori che consiglio a tutti di acquistare e leggere con attenzione,
traggo un elenco sul CIBO SICURO e sulle cose che per esso occorre che non si
ceda affatto alle spinte oltranziste e mercatiste:
-
non deve essere scalfito il PRINCIPIO DI PRECAUZIONE;
-
massima severità sulla FILIERA delle carni e dei prodotti da
essa derivati;
-
MENO POTERE ALLE IMPRESE;
-
NIENTE ORMONI NELLE CARNI;
-
MENO ANTIBIOTICI negli allevamenti;
-
Vietare l’igienizzazione dei polli con la CLORINA;
-
NO a latte e carni dai
figli degli animali CLONATI;
-
NO agli OGM senza etichettatura;
-
Mantenimento e valorizzazione elle indicazioni DOCG, DOC, DOP e
IGP;
-
Mantenimento delle denominazioni dell’ORIGINE DEI PRODOTTI;
-
NO all’abbassamento della qualità dei prodotti come sono spesso
quelli di produzione americana rispetto a quelli italiani ed europei;
-
le leggi non le devono fare le Imprese, e i governi devono
tutelare i cittadini soprattutto.
Ecco quindi su cosa
dovremmo informarci, essere informati e tenerci tutti informati.
Fraterni saluti,
Vitaliano Serra ( 03.01.2015 )
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