mercoledì 15 ottobre 2014
Racconti di paese: la lotta della Cascina Gogna di Vitaliano Serra ( “ La Penna ai Busseresi “ 3 ottobre 2014 )
I
pomeriggi la domenica ci si radunava, tutti noi del Gruppo Aperto, presso il “circulin
dei compagni”. Non erano ricchi di sorprese. Ognuno di noi aveva
sempre qualche proposta che veniva esaminata dal resto del gruppo. L’oratorio
maschile, proponeva, su un campetto irregolare e spelacchiato, partitelle a
calcio. Per le ragazze c’era solo il chiacchiericcio a bordo campo. Ovviamente
il calcio per le ragazze non rappresentava una vera e propria distrazione. Se
non altro potevano solo fare qualche commento sulle più o meno prestanti qualità dei maschietti, dal fisico
ancora acerbo. Così ,quella volta, la scelta di come passare il pomeriggio,
cadde su un’esplorazione della Cascina Gogna che ai più pareva cadente e abbandonata.
Sapevamo dalle notizie che correvano in Paese che era abitata da famiglie di
“furestèe”, da qualche cane e da un nugolo di bambini. Decidemmo che,
finalmente, meritava un’ispezione
adeguata, dove ogni più piccolo dettaglio non avrebbe più avuto segreti per
noi. La Cascina era lì, come la vediamo oggi a quarant’anni e passa di
distanza. Cadente, abbandonata, ma ricca
di “vita ai margini”: gli immigrati di allora, un’ultima ondata di famiglie dal
sud, bresciani e veneti. Sapevamo che avevano redditi leggeri e precari,
pigioni alte se raffrontate alla qualità degli alloggi. Nessuno si curava di
loro, persino il parroco e le “pie donne” evitavano la frequentazione del
luogo, dove pure esisteva un luogo di culto. La scuola poco si curava delle
assenze dei bambini, che spesso erano assenti e ovviamente non erano preparati.
Noi del Gruppo già usavamo proporre il doposcuola gratuito per aiutare i figli
di operai che arrancavano di fronte alle nozioni di aritmetica e grammatica. Lo
facevamo certi che la scuola fosse la chiave per tenere aperta la porta che
permettesse ai meno fortunati di migliorare la propria condizione sociale,
sfuggendo al “destino” di classe che li attendeva. Operai figli di operai.
Il
primo impatto non fu proprio dei migliori, era il
Non
ci fermammo davanti alle molte “provocazioni” del sciur padrun del luogo.
Arrivò perfino a rincorrerci con il suo aratro e lanciandoci dietro i cani, nel
tentativo di farci desistere con le cattive dal nostro intento. Il signore e padrone di tutte quella aree
agricole e dell’intera cascina. Uomo d’altri tempi, ottocentesco, ( in verità
anche oggi le cose sul tema della “proprietà” non vanno meglio e ci sarebbe da
riflettere, se la riflessione di questo tipo oggi non fosse considerata
arcaica, appunto, ottocentesca. Mala tempora currunt ! ) non vedeva di buon
occhio il nostro operare, perché creava disturbo alla esosa quiete padronale
che imponeva agli astanti. Così entrammo con i piedi nel piatto convincendo le
famiglie del luogo a seguirci nella lotta per vedere tutelati i propri
interessi. Avviammo assieme una lotta
per l’autoriduzione degli affitti, e per chiedere alcuni pur minimi interventi
man spesso nelle coltri bagnate. La proprietà inviò gli sfratti, noi aprimmo una
vertenza legale, pagandone i costi di persona, aiutati da un legale delle ACLI.
Pubblicammo interventi sui giornali nazionali, l’Unità, il Giornale dei
Lavoratori, il Giorno. Volantinammo in Paese ed in zona sulle condizioni di
quelle famiglie, proponemmo interpellanze in Consiglio Comunale, sollecitando i
partiti a prendere posizione, a fare qualcosa per limitare il disagio delle
famiglie, per appoggiare la loro e la nostra
lotta, organizzammo assemblee. Con gli abitanti e soprattutto con i
bambini crebbe l’empatia, l’amicizia, la stima. Ed anche il resto del Paese, le
istituzioni, i cittadini, si accorsero della realtà che si viveva in quella
cascina. Aumentò la solidarietà e di conseguenza l’integrazione. Quella lotta ha
pagato, gli affitti non furono pagati
più così alti, gli sfratti furono gestiti finalizzandoli al passaggio da casa a
casa, e da una casa non vivibile ad una casa vivibile, e tutte quelle famiglie lasciarono finalmente
la cadente Cascina Gogna per passare, attendendo la loro costruzione, da casa a
casa nelle case popolari che furono costruite qualche tempo dopo. Non più ai
margini invisibili di Bussero ma al centro del nuovo Paese. Con quella lotta, molti
di quei bambini di allora sono pienamente diventati cittadini, come gli altri, della
nostra comunità.
Dedicato
a Silvano, Armando, Lorena, Anna, Giuseppe, GianPietro, Vladimiro, Maria
Grazia,……
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento