Carissime/i
alcune/i di voi ( e li ringrazio per l’attenzione che pongono al mio pensiero )
mi hanno chiesto conto del mio silenzio
in merito alle elezioni europee. Silenzio inusuale per me che vi inondo spesso,
e forse anche a sproposito, di mail su tanti argomenti politici, locali e
non. Ebbene il mio silenzio era sintomo
di difficoltà a trovare una ragione ed una passione che mi permettesse di
credere in una possibilità di cambiamento nell’ambito dell’offerta presente oggi sul “mercato” della politica.
Ebbene dopo quasi 40 anni dal mio primo voto ( ndr. al PdUP ) non ho
partecipato alle competizione elettorale. Sono uno tra quel 40% e oltre di
astenuti, e per darmi una giustificazione me ne sono andato al mare a Livorno,
in Toscana, la Toscana oggi più che mai del PD e di Renzi, da mio figlio.
Decisione tormentata e contraddittoria con tutta la mia storia politica e i
miei valori di fondo fortemente e tenacemente costituzionali. Non sono mai
stato un’indifferente. Ho ritenuto necessario questo stop per riflettere sul
che fare di fronte alle trasformazioni epocali che stiamo vivendo. Ma la
necessità di riflettere è però cominciata il 25 febbraio dello scorso anno, (
il 2013 ) con la risicatissima “vittoria” del PD e soprattutto
dopi i 52 giorni di agonia del tentativo
di Bersani di dare una svolta a questo Paese senza “arrotolare “ le bandiere
della sinistra dell’uguaglianza e la “pugnalata” politica che gli ancora
“innominati ed innominabili” 101 ( e forse più ) della Direzione PD diedero a
Bersani facendo fuori nel breve volgere di una notte sia lui che il padre fondatore Prodi e subito dopo la sola ipotesi
ragionevole di contatto con il M5S con il diniego alla candidatura alla
Presidenza della Repubblica di una figura di assoluta preminenza costituzionale
e democratica come quella di Rodotà. Il resto è venuto da sé con la
preventivata, incontrastata e scontata vittoria di Matteo Renzi alla Segreteria
del PD. Tralascio poi la brevissima meteora lettiana con la sua forzosa eliminazione
in culla. Ebbene proprio nel momento di questa mia personale e dolorosa scelta
è successo il terremoto, Renzi non ha solo vinto, ma ha stravinto e questo ha
già cambiato moltissimo del quadro politico. E' inutile dire: ma sono elezioni
europee contano poco nelle scelte nazionali. Stupidaggini. Sono elezioni e in
queste elezioni un partito ha preso il 40 per cento, come la Dc ai vecchi
tempi, più che qualunque altra formazione politica negli ultimi decenni. E ha
conquistato 15 punti in 15 mesi. Renzi può essere simpatico o antipatico ( a me
non piace, ne diffido intimamente in quanto esprime senza dubbio alcuno una
cultura liberista) ma è riuscito in questa impresa. Chapeau ! Adesso come
tanti, mi chiedo che cosa farà dopo questo risultato ma, soprattutto che farà
del Pd. Il terremoto riguarda, infatti, anche l'identità del partito del
presidente del consiglio ( oggi più che mai ) che, del resto, di sommovimenti ne ha già
subiti parecchi.
Quando
parlo di identità del PD non mi riferisco agli equilibri interni,oggi
francamente irrilevanti, pur con la stima che ripongo verso Civati e Cuperlo,e
neppure ai pericoli di nuove rottamazioni, anch'esse trascurabili, ma alla sua
collocazione, a ciò che rappresenta o meglio, che può rappresentare nel panorama
politico italiano ed europeo, agli interessi e al blocco sociale di riferimento
di cui si vorrebbe fare portavoce e tutelare.
In questo quaranta per
cento di voti c'è sicuramente il vecchio PD, quello che ha resistito alla prima
rottamazione, ci sono molti voti giovani, ci sono i voti provenienti da un
centro destra deluso, quelli dei grillini spaventati, ci sono i voti utili di
chi in altre circostanze avrebbe scelto un'altra formazione politica, quelli di
chi sta nei sindacati e di chi li detesta, di chi pensa che Renzi sia il
naturale erede di Berlusconi e di chi inneggia ad un nuova e più moderna
sinistra. Insomma un bel pout pourri, un miscuglio davvero sorprendente di idee
e di aspettative. Ma si tratta di un volto indefinito, privo di una sia pur
provvisoria identità. E forse in questo polpettone di interessi e di
aspettative pare prevalere una ipotesi politicamente neocentrista ed
economicamente , appunto, liberista.
Anche se, citando dall'ultimo post di Keynesblog.it, "non può che far piacere
ascoltare da lui, proprio in questi giorni, un aggettivo – keynesiano – che tra
i suoi amici liberisti suscita l’orticaria. Il vantaggio (potenziale) della
democrazia rispetto alla tecnocrazia è che la prima elegge dei politici, i
quali devono tener conto dei desideri e delle aspettative degli elettori se
desiderano essere rieletti, mentre la seconda è sempre preda della “moda”
teorica del momento o, peggio, degli interessi del mondo da cui i tecnocrati
stessi provengono: raramente coincidenti con il benessere dei lavoratori e
della classe media, molto più spesso esattamente opposti, come abbiamo visto
proprio nel caso dell’Unione Europea.
Renzi sa bene che
questa volta gli è andata bene, molto bene, oltre ogni aspettativa. Ma nulla
vieta che, se le speranze che l’elettorato ha riposto in lui dovessero
venire deluse, anche l’Italia potrebbe spostarsi tra i paesi più euroscettici.
Il voto di domenica ha quindi dato forza al leader del PD ma lo ha
anche caricato di una responsabilità gravosa. Le prime parole pronunciate dopo
la vittoria sono ben auguranti. Tra queste, la proposta di una riforma delle
regole europee per scomputare gli investimenti dal deficit e consentire così
uno stimolo di 150 miliardi in 5 anni. Una cifra significativa". Vedremo
se alle parole seguiranno i fatti.
Qualcuno
ha già paragonato il nuovo PD di Renzi alla vecchia Dc: interclassismo,
tendenza ad una modesta, seppure concreta redistribuzione del reddito, laica
prudenza sui temi etici. Non credo. La DC era comunque schierata da un parte
precisa del mondo dei blocchi e poteva gestire insieme redistribuzione e
conservazione e quindi l'interclassismo, perché il paese viveva un periodo di
sviluppo e di crescita. Renzi si muove in un altro panorama economico e
sociale. Molto, ma molto più difficile e complesso.
Ma
il PD del quaranta per cento sta scomodo anche nell'alveo pur ampio del socialismo
e della socialdemocrazia europea che oggi subisce crisi profonde, appare
incapace di uscire dalle sue difficoltà, ma mantiene una sua differenza formale
dal blocchi conservatori nazionali ed europei. E anche dalle formazioni di
sinistra radicale, ecologiste, femministe che, di volta in volta le si
affiancano. Questo partito del quaranta per cento non ha una identità che possa
coincidere con le socialdemocrazie. Forse può ricordare il partito democratico
americano, ma l'Italia non è l'America. E' anomalo, spurio, oggi ciascuno può
sperare di trovarci quel che desidera. Ma fra qualche giorno? qualche
settimana? qualche mese? Allora a questo insieme di passioni, paure, illusioni,
certezze, entusiasmi occorrerà pur dare un volto. Ecco, mi chiedo che volto sarà.
Tutto ciò rende più e non meno
“ragionevole” la mia astensione.
Non
so, ma me pare che anche a sinistra del
PD le cose non siano andate bene, politicamente ed anche elettoralmente
parlando, sia quando c'è stata una alleanza con il PD sia quando non c'è stata.
Tranne in casi particolari, che sono, appunto, l'eccezione e non la regola. E
francamente non credo che il risultato della Lista Tsipras, (che sono stato fino
all’ultimo tentato di votare e che ho perfino propagandato in qualche modo
durante la difficile e cointrocorrente campagna elettorale), alle europee possa essere considerato la
soluzione. La lista ha preso il 4.03% e ha superato di un soffio la soglia. E'
un risultato certamente importante, visti i tempi, ma di pura
sopravvivenza e di testimonianza, nulla di più, non raccontiamoci
storie. Questo al di là delle persone per bene che lo hanno con vigore e
passione, in mezzo a tante difficoltà, rappresentato a partire dal leader
Alexis Tsipras che è un ottima scelta, anche
per quel che rappresenta col venir
fuori dal Paese che più di tutti in Europa a pagato il prezzo delle politiche liberiste
di austerità a senso unico. Quindi, ne deduco, non mi pare che il problema
fondamentale siano le alleanze. Mi pare che i problemi fondamentali siano il
progetto politico, la cultura politica, la fisionomia della sinistra. Cose che
non si risolvono nemmeno con il mantra del "costruiamo la Syriza
italiana"- Insomma, secondo me, è la mia opinione personale, ci serve una
sinistra popolare di governo, portatrice di un progetto di riformismo radicale,
radicata sul territorio, capace di produrre costantemente iniziativa politica,
capace di seminare cultura politica, in grado di parlare non a piccoli gruppi
ma ai cittadini italiani, a partire da coloro i cui interessi economici e
sociali si intende rappresentare. Ci
vorrebbe, credo, qualcosa che assomigli al PCI ( quello di Berlinguer ) e al
PSI ( quello di Pertini ) messi assieme.
Quanto ai grillini credo che abbiano
raccolto quel che hanno seminato in questo anno, cioè l’isolamento fatto dogma,
il pluralismo interno ridicolizzato, l’uso di linguaggi virulenti e
diseducativi, il congelamento inconcludente di ben 8 milioni di voti,
l’evidenziarsi di grossi limiti formativi nel quadro politico a tutti i
livelli, l’ambiguità delle ipotesi programmatiche e la confusione nell’ipotesi
culturale “né di destra né di sinistra”.
Renzi
è oggi sulla cresta dell'onda ma è il vuoto di prospettive e la mancanza di una
proposta di respiro strategico per riformare l'Europa a gettare
ombre cupe non tanto sulla sua leadership e forse a condannarlo
probabilmente a sgonfiarsi, forse,
altrettanto rapidamente. Il che succederà inevitabilmente non appena
Renzi dovrà fare i conti con quella governance europea che forse immagina di riuscire
a conquistare con la stessa facilità, superficialità e disinvoltura con cui si
è impadronito, gli uni dopo le altre, di primarie, partito, governo ed
elettorato. Ma là, invece, c'è la "scorza dura" dell'alta finanza,
dei poteri economici forti che Renzi non si è mai nemmeno sognato di voler
intaccare ( non a caso personaggi come Davide Serra ed altri come lui lo
appoggiano senza riserve, anzi sono parte strutturale del suo entourage
culturale ), ma che non è certo disposta a concedergli qualcosa che vada al di
là di un sostegno formale e simbolico. Ed è proprio lì che si installa
l’inevitabile deriva neoliberista che persegue il nostro ormai incontrastato
leader, che vuole togliere di mezzo ogni livello intermedio di democrazia,
sindacati per primi, per renderli residuali e per marginalizzare il conflitto
di classe che la crescita delle diseguaglianze, non affatto destinate a
ridursi, renderà inevitabili. E per destrutturare almeno alcuni dei principi
fondanti della nostra Costituzione repubblicana ed antifascista. Non basteranno
certo 80 € al mese, peraltro concessi oggi solo ad una parte degli aventi
diritto a sanare le ferite dell’ineguaglianza e della carenza di reddito di
milioni di cittadini e di famiglie, e pure di imprese. Occorrerebbe invece un
piano di forte redistribuzione di reddito dalla rendita al lavoro, un grande
progetto politico per “rimettere le
persone al centro”il che significa
considerare come preminente la qualità della loro vita riconoscendo che esse
non sono la causa della crisi, ma l’oggetto, come afferma l’economista Mario
Pianta nel suo bel libro “Nove su Dieci – Perché stiamo (quasi) tutti peggio di
10 anni fa” Ed. Laterza: “Dopo decenni
di politiche che hanno creato disoccupazione, precarietà e impoverimento, serve
mettere al primo posto la creazione di un’occupazione stabile, di qualità, con
salari più alti e la tutela dei redditi più bassi”.L’attenzione dell’azione
politica va spostata sulle condizioni di vita dei lavoratori, non solo di chi
un lavoro ce l’ha (e lo vuole mantenere), ma anche di chi questo lavoro non ce
l’ha, non lo può avere, lo ha perso senza ritrovarlo o senza poterlo ritrovare.
Di fronte a questa priorità, l’economia è un vincolo con cui fare i conti, ma
non l’obiettivo al quale subordinare la vita sociale: la contrapposizione con
la visione della politica economica corrente non potrebbe essere più drastica.
E’ il liberismo che è vecchio, antimoderno e sarebbe da mettere in soffitta. La
Sinistra deve e può ripartire da qui. E forse lo spero riprenderò a votare.
Come
scriveva Robert Musil nel suo “L'uomo
senza qualità”:
“Chi
voglia varcare senza inconvenienti una porta aperta deve tener presente il
fatto che gli stipiti sono duri: questa massima alla quale il vecchio
professore si era sempre attenuto è semplicemente un postulato del senso della
realtà. Ma se il senso della realtà esiste, e nessuno può mettere in dubbio che
la sua esistenza sia giustificata, allora ci dev'essere anche qualcosa che
chiameremo senso della possibilità.
Negarsi
la possibilità di un altro mondo, fare le cose come le abbiamo sempre fatte (le
stesse cose, nello stesso modo), ribadire uno schema pur sapendolo
fallimentare, insistere su percorsi sbagliati significa avere paura,
annichilire le speranze. Significa rinunciare alla critica, che è quasi tutto,
soprattutto quando le cose, palesemente, non funzionano. Vuol dire, alla fine,
dire che la politica non serve a nulla. Tutto è già deciso, stabilito,
definito. E invece le alternative servono a pensare, servono a vivere”.
Vitaliano
Serra
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