IL GRUPPO APERTO: MEMORIA DI UNA
GENERAZIONE NON BANALE ( il '68 a Bussero )
Questa rievocazione è dedicata a
tutti quei ragazzi e ragazze busseresi che hanno contribuito con il loro
entusiasmo, la loro passione, la giovinezza, l’impegno, l’intelligenza a fare
di Bussero quel che è oggi, un Paese vivibile, pulito, tranquillo,
laborioso, aperto e solidale, con una
storia amministrativa onesta, partecipata in cui la democrazia è profondamente
radicata, e con una comunità culturalmente vivace, attiva e tollerante. Il
tutto a poca distanza dalla metropoli milanese.
E’ dedicata alla generazione di
busseresi che “ha fatto il ‘68” , che ha contribuito a quella grande occasione
di trasformazione culturale, politica e sociale e di protagonismo giovanile che
ha cambiato il mondo, l’Italia e Bussero. Dopo l’avvento di quella generazione,
nel bene e nel male, con il protagonismo
dei giovani nel contesto sociale, nulla è stato più come prima. Cambiò il costume, la cultura, la scuola, la
famiglia, la politica e perfino l’economia. Fu una vera rivoluzione, per lo più
pacifica, appassionata, le lotte fino ai primi anni ’70 erano lotte pacifiche,
fatte solo con le armi dell’entusiasmo, con gravi perdite e anche morti, per
mano di fascisti e polizia, solo più
tardi, la cecità e gli interessi geostrategici, politici ed economici
dell’establishment di potere di quel tempo e la miopia di una parte consistente
della politica del tempo contribuirono, con le loro scelte reazionarie, con
l’uso criminoso delle forze dell’ordine, con lo stragismo, con i servizi
deviati, con la corruzione, con la repressione poliziesca spesso contigua agli
agguati dei fascisti, unitamente alla vanità personalistica dei molti leaderini
emersi dalle lotte operaie e studentesche di allora a fare dell’ingenuità
giovanile e della passione civile il terreno, non per una crescita collettiva,
ma il pogrom di uno scontro generazionale duro e cruento, fatto di scontri, di
insensatezza e di follia, una disfatta generazionale ed umana che in molti casi
portò all’estremismo violento e via via alla lotta armata, i cui prodromi però
erano pur scritti in una insensata quanto folle appartenenza all’”album di
famiglia” dell’ideologia totalitaria.
E’ innegabile che il ’68 per lunghi mesi nasce e si
mantiene rigorosamente pacifico e non violento. Basta sfogliare i giornali di
quegli anni per verificarlo. Non va mai dimenticato che le prime forme di
violenza si manifestano quando comincia la repressione di Stato e le
provocazioni neofasciste. Da quel momento si verificano, in alcune situazioni,
anche degli eccessi drammatici di autodifesa. E questo appartiene alla
responsabilità e alla immaturità degli errori e purtroppo anche degli orrori dello sviluppo del ’68. E’
importante però ricordare che il primo atto di terrorismo in questo paese viene
compiuto dallo Stato, con la strage di Piazza Fontana, del 12 dicembre 1969. Quest’episodio
viene visto dal Paese e dai giovani in lotta come il tentativo di ricacciare
indietro tutto, scegliendo la strada della repressione violenta e golpista.E’
lo spartiacque che segna l’inizio di una fase completamente diversa, che è la
fase della violenza degli anni ’70. Così
come non è senza responsabilità la lunga striscia di morti da Portella delle
Ginestre nel 1947 a tutti i morti per mano della celere negli anni ’60.
La repressione che questo movimento ha dovuto subire è
stata invece sistematica, con stragi, eccidi, assassinii….. da ricordare solo
alcuni esempi iniziali ed eclatanti, il ferimento dello studente Ceccanti
davanti alla “Bussola” di Viareggio, a
livello internazionale le Olimpiadi insanguinate di Città del Messico, col
massacro di Piazza delle Tre Culture, i vari golpe ( Grecia 1967, Cile 1973,
Argentina 76 , ma anche sul fronte opposto filosovietico di Praga 1968 ) e minacce di colpo di Stato in Italia ( 1964 progetto del Gen. De Lorenzo, e 1970
con il tentativo di golpe del fascista Junio Valerio Borghese ex-comandante
della brigata fascista repubblichina di Salò X-Mas ) l’omicidio di Martin Luther King negli USA o,
per tornare in Italia, l’eccidio di Avola, in provincia di Siracusa, il 3
dicembre 1968, e poi nel 1974 Piazza della Loggia a Brescia, nel 1975 sul treno
Italicus, prime di una lunga e tragica storia di attentati e tentativi di
destabilizzare le istituzioni democratiche e repubblicane, e l’uso
spregiudicato del terrorismo rosso e
nero per bloccare la impetuosa crescita del movimento di lotta dei lavoratori e
delle classi subalterne e la loro crescente presa di coscienza della loro
forza, verso un livello più alto di
democrazia e miglioramento delle loro condizioni di vita e di lavoro.
A Bussero, ma non solo, fummo completamente ed intelligentemente estranei
a questa deriva, avemmo sempre ben chiara la rotta da seguire, quella
dell’unità con la tradizione culturale e politica della sinistra italiana,
fatta di pacifismo, di impegno, di lotta democratica e antifascista. Si lo
spirito unitario, pur nell’asprezza della battaglia politica di contestazione
di un intero sistema politico, anche verso la grandi forze della sinistra
tradizionale, ci univa nel profondo alle lotte dei nostri padri, nella guerra
partigiana di liberazione, nelle lotte sindacali per l’emancipazione della
classe operaia, nell’impegno per una economia cooperativa e solidale, nel
rispetto profondo che comunque avevamo per
le generazioni che ci precedevano, e che avevano costruito, lo sapevamo,
le condizioni affinché noi potessimo andare oltre.
Se c’è un’immagine che mi sembra
appropriata a questa generazione e a quel periodo è quella di un folto gruppo
di giovani, ragazzi e ragazze, che con una scala danno l’assalto al cielo, un
cielo che abbiamo in larga parte anche contribuito a conquistare, con la
costruzione di una Paese, Bussero, di molto più bello e vivibile di quello che c’era
sul finire degli anni ’60.
Nel 2011, tra poco più di un
anno, cadrà il quarantesimo anniversario della nascita politica e sociale di
quella generazione di busseresi. La
generazione del ’68, quelli del baby boom delle nascite del primo dopoguerra ,
i nati tra il 1946 e il 1956. A Bussero, che tra il finire degli anni ’60 e
l’inizio dei ’70 era un piccolo agglomerato di case, per lo più grigiastre e
scarsamente manutenute, che facevano pendant con la nebbia che in quegli anni
era fittissima, e che durava molte settimane d’inverno, e che contava suppergiù
1500 anime, si formò un gruppo di ragazzi per lo più frequentanti l’oratorio
locale e diede vita ad una delle esperienze politico-sociali, non credo di
esagerare, tra le più significative di tutta la Zona Martesana e fors’anche dell’Est milanese. Nacque il
Gruppo Aperto. Ci fu una curiosa ma emblematica discussione sul nome da dare
allo stesso, si scelse la proposta di Fausto di chiamarlo “aperto” per sottolineare
la eterogeneità dei costituenti, sia in termini di età, sia in termini di
approccio ideale e politico di ogni singolo aderente. Le esperienze di
provenienza erano appunto diverse, tutti in gran parte vicini all’Oratorio,
quindi legati quasi naturalmente all’esperienza cattolica e cristiana, ma molto
interessati al fermento che circolava in quegli anni nel corpo pulsante della
Chiesa, e dei credenti. Quel fermento proveniva da e aveva preso corpo
dall’evento cristiano più importante di quegli anni, il Concilio Vaticano II° e
il grande segnale ecumenico che veniva dall’eccezionale pontificato del Papa
Buono, Giovanni XXIII°. Era stata una vera rivoluzione culturale e a Bussero
quel seme diede frutti tra i giovani. Nel paese non c’era che pochi luoghi di
aggregazione e socialità. Oltre all’Oratorio , che aveva al suo interno un
salone cinema di non piccole dimensioni,
solo il Circolo Familiare, dei “compagni”, comunisti e socialisti, che oltre ad essere sede di una osteria era
il posto in cui annualmente venivano fatte le feste dell’Unità e dell’Avanti e
talvolta in autunno le castagnate, una minuscola biblioteca, che contava per lo
più qualche “classico” e molti libri di letteratura “rosa” di Liala. Più nulla.
Le scuole erano solo elementari e medie a ridosso dell’edificio municipale
posto di fronte alla imponente chiesa. I giovani non avevano altri luoghi od
occasioni di aggregarsi oltre a questi, e non c’era alternativa al “baretto”
del “Bertin di fronte alla Piazza del Monumento, dove la presenza di un
calciobalilla, di un flipper e di un juke-box
riuniva spesso attorno a sé gruppi di ragazzi e qualche ragazza per mangiare un
gelato, un piciu-paciu ( sorta di miscuglio di granita e gelato,) o una fetta
d’anguria e ascoltare nel frattempo qualche canzone di quell’epoca ( se non
ricordo male con 100 lire 2 dischi ). Per il cinema si doveva andare a Cernusco
o a Cassano e Melzo, rigorosamente in bicicletta, perché la patente si faceva a
21 anni, così come la maggiore età, e i motorini costavano troppo. E giù a
pedalare, andata e ritorno in fila indiana sulla Padana, e spesso con la nebbia
che complicava il viaggio. Questo appunto il contesto territoriale. I ragazzi
dopo la terza media ( siamo in gran parte, almeno quelli nati dopo il 1950, i
primi ad aver frequentato la scuola riformata ed unificata, che aveva
finalmente dato un taglio netto con le scuole differenziate per classi sociali,
il ginnasio e/o liceo per i figli di
benestanti e l’avviamento professionale per i figli di operai e contadini, quel
tipo di scuola fatta per determinare il blocco della mobilità sociale tra le
classi ), in gran parte accedevano ai corsi di ragioneria/ geometra o gli
istituiti tecnici industriali o commerciali. Molti di essi per ragioni
familiari facevano la scuola serale che permetteva loro di aiutare la famiglia
economicamente, dopo le normali 8 o 9 ore di lavoro in fabbrica. Ma fu proprio
lì a scuola che alcuni di quei ragazzi formarono una personale idea della
società in cui vivevano. Lì e in quell’insieme di situazioni di vita in cui
erano immersi quotidianamente. La scuola fu senza dubbio il veicolo principale
che permise la deflagrazione di bisogni fino ad allora inespressi dalla
gioventù, che viveva in una specie di
limbo tenuta ad occuparsi esclusivamente di calcio, di canzonette, di
goliardia, e, ma solo i più colti per possibilità familiare, di viaggi vacanza.
E dopo il militare, per i maschi, bisognava “mettere la testa a posto” che
significava lavorare e far su famiglia, figli e stop. Il bisogno di essere riconosciuti come
persone con una loro identità culturale, il bisogno di luoghi di confronto e
discussione, il bisogno di relazionarsi, anche con le ragazze, che in genere
erano ancor più tenute fuori da ogni contesto aggregativo e socializzante, che
non fosse l’oratorio e non oltre un certo orario. Perfino in chiesa durante la
messa uomini e donne, col velo in testa,
erano tenuti separati da una parte e dall’altra. Il bisogno di
esprimersi e di contestare una società immersa
in una cappa di ipocrisia che coinvolgeva e impregnava tutte le
manifestazioni vitali, i ruoli erano ben distinti e le gerarchie sociali erano
date per scontatamente eterne. “ Di
pret e di re di ben o tasé “, questo il motto in voga che permeava tutto.
Poi tutto funzionava sotto una
coltre di compromessi, di immoralità
diffusa, di controsensi, di grettezza
anche morale, …………di ipocrisia. Ma covava in quegli anni anche una enorme
voglia di liberazione, di ribellarsi a quello stato di cose. Ribellarsi ad un
potere che pareva eterno, ad una logica gerarchica della società, della
famiglia, del lavoro, della convivenza, che non permetteva la piena
realizzazione di sé, rompendo le barriere “ economiche e sociali” che non
permettevano la libera circolazione delle idee, e che erano invece all’interno dei dettami
costituzionali, ma che rimanevano lingua e scrittura morta, non realizzata a
oltre 20 anni dalla promulgazione della Costituzione Italiana.
Certamente questi concetti non
erano ben chiari nelle nostre teste, ma l’impulso che sentivamo dentro era
coerente con essi. Era di pochi anni prima la aggregazione spontanea in paese
di almeno tre aree o gruppi, il CGB ( Circolo Giovanile Busserese ) con sede
all’Oratorio e per lo più formatosi attorno ad un gruppo di giovani tra i 20 e
i 25 anni, più coerenti con
l’ispirazione cattolica tradizionale,
che gestivano il Bar Oratorio che dava sulla via Roma, la Tana con
ragazzi, tutti maschi, sui 17 / 19 anni,
con l’intento di aggregarsi e organizzare momenti di gioco ( carte o scacchi )
, tornei di calcio e gite in bicicletta,
e la Cantina per via dell’utilizzo di una piano cantinato sottostante la
Panetteria di Via Piave attrezzato a mò di mini-discoteca con luci
“psichedeliche”come si chiamavano allora, adatta a festini e balli di gruppo.
Il resto dei giovani, quelli più adulti, bivaccava nei pochi bar presenti a
discutere di calcio e di “donne”. Ma quel bisogno di socializzare e aggregarsi
era difficoltoso in una realtà così piccola, e quei gruppi rispondevano a quel
bisogno, seppure però insufficiente a
dare profondità a quelle pulsioni.
Chi vi rispondeva lavorando in una comunità di aiuto ai poveri,
come quella di Emmaus, dell’Abbé Pierre
della Comunità di Taizée, come il
Fausto, chi già metteva in atto le proprie capacità organizzative seguendo la
piccola sezione delle ACLI come il Valerio, chi aveva cominciato a partecipare alle lotte
studentesche con il Movimento Studentesco milanese, come il sottoscritto e l’indimenticabile
Giuseppe , “Frana” per via del suo impetuoso e vulcanico modo di essere. Chi
vedeva sorgere le prime battaglie studentesche, chi quelle operaie, visto che
la maggior parte di noi aveva un lavoro in fabbrica. Solo alcuni in ufficio.
Tra questi ricordo Angelo Beretta, per via della sua carnagione scura veniva
talvolta soprannominato “ negher”, ci si vedeva sul “gambadelegn” il pittoresco
trenino giallo che portava lavoratori e studenti da Bussero a Milano in Piazza
Sire Raul. Si perché altri mezzi di locomozione tra città e campagna non ce
n’erano, solo un bus postale che passava da Sesto San Giovanni ed io prendevo con altri due passeggeri di
Bussero, entrambi studenti, da Via Lulli alle 13,30 e dopo un vasto giro
giungeva a Bussero da Pessano intorno alle 15.00. Con Angelo che frequentava, penso, il CGB
oratoriano, avevo occasione di discutere di varie cose durante il percorso tra
Bussero e Milano o viceversa, se ci si incontrava alla fine della scuola
serale, più o meno tra le 22,30 e le
23,00 ora in cui si ritornava a casa dopo una lunga giornata. E si affrontavano i temi più vari e in
particolare delle proprie idealità, ed egli mi parlava di incontri che si
tenevano alla Corsia dei Servi in centro Milano con alcuni padri gesuiti che
come Bartolomeo Sorge erano usi discutere periodicamente sull’attualità del
messaggio cristiano soprattutto alla luce del Concilio e dell’ecumenismo
giovanneo, di apertura del cristianesimo alle teorie marxiane in un contesto di
grande, e reciproca, contaminazione culturale. Anche in occasione di
incontri settimanali che l’allora coadiutore del Parroco, Don Validio ,
organizzava, per affrontare tematiche esistenziali, quali, l’Amicizia, l’Amore,
i Sentimenti, seppure con la necessaria
titubanza pastorale, capitava di discutere ed affrontare i temi della coerenza
tra il dire e il fare del cristiano. Fu facile quindi in quel contesto e in un
contesto più ampio che vedeva i giovani divenire sempre più protagonisti della
propria esistenza, a scuola, in fabbrica, in famiglia e nella società,
accendere la passione dell’impegno sociale e politico in questi ragazzi.
Coerenza fu la parola chiave. E
colpimmo duramente chi di questa coerenza si faceva beffe, o era troppo
imbrigliato in atteggiamenti e battaglie che ritenevamo poco efficaci, ai fini
dell’effettivo miglioramento della vita dei più poveri, dei più diseredati, dei
più emarginati, tanto più in ambito
cristiano, ma anche in ambito politico, ad esempio nella politica locale, i
democristiani da una parte e i social-comunisti dall’altra.
La gestazione del Gruppo Aperto
durò qualche anno, dal 1969 al 1971, grosso modo. Fu un atto spontaneo di
aggregazione che vedeva unirsi due aree
d’interesse, quella più “sociale” legata al volontariato cattolico e
quella più “politica” legata a coloro, ed io tra questi, la cui esperienza
nelle lette studentesche era più presente.
Obiettivo del Gruppo Aperto era
aggregare i giovani busseresi sulla base di interessi comuni, ma che avrebbero
dovuto e voluto permettere di continuare per ciascuno le proprie attività nelle
varie associazioni o movimenti di cui erano parte, più o meno da
protagonisti. Era anche quella di rompere il silenzio con cui la politica, anche quella amministrativa
locale, soprattutto di parte democristiana avvolgeva le sue scelte
amministrative, che, già in quel periodo, con le elezioni amministrative del
1970, avevano visto prevalere nella DC locale personaggi più o meno legati ad
ambienti affaristici, soprattutto in campo immobiliare. Anche se una parte
della DC meno legata alle problematiche affaristiche ed incarnata in primis dal
suo Segretario Agnelli ci propose perfino di iscriverci al suo partito per
contribuirai innovarlo e forse anche renderlo meno vulnerabile alle sirene
degli affari.
Tra le prime iniziative
organizzate vi fu la rendicontazione, presenziando, per la prima volta in forma
organizzata, delle riunioni del Consiglio Comunale, la partecipazione alle
assemblee pubbliche, e la discussione interna, appassionata e partecipata da
molti giovani, alle problematiche amministrative, cui seguiva il volantinaggio
a tutte le famiglie di tale rendicontazione, seguita dall’opinione collettiva
che ci eravamo fatti.
Cominciammo a vedere con i nostri
occhi, che diventavano gli occhi di una specie di “opinione pubblica” locale,
le ipocrisie, le bassezze, le storture, le vanità personalistiche, ed anche le
difficoltà dell’amministrare la cosa pubblica.
Poi il salto verso
l’organizzazione di iniziative di sostegno alle situazioni famigliari meno
abbienti, con l’apertura di un Doposcuola gratuito per i figli di operai e
impiegati, dove venivano socializzato anche lo scambio di libri e attività
didattiche, la presenza alle iniziative della scuola, perfino le prime battagli
culturali con alcuni insegnanti considerati troppo tradizionalisti,
conservatori, che vedevano ancora nella scuola lo strumento della selezione di
classe più che quello di emancipazione delle classi subalterne.
Quindi l’avvio dell’esperienza di
recupero e sostegno alle famiglie abitanti la fatiscente struttura della
Cascina Gogna, di proprietà di un ricco latifondista locale che affittava a
costi esagerati tali locali ad alcune famiglie “immigrate” d’allora,
meridionali, bresciani e qualche veneto. L’esperienza fu decisiva e temprò la
nostra volontà di coerenza tra i nostri principi enunciati e le nostre vite di
tutti i giorni.
Difficile l’impatto, sia per le
molte provocazioni del proprietario che non voleva che la nostra presenza
organizzasse i suoi inquilini, sia perché e soprattutto per la realtà che
trovammo. Emarginazione, miseria, ma anche tanta umanità. Tanti bambini di età
diverse, cui demmo sostegno scolastico, ricreativo, ludico, perfino in alcuni
casi sanitaria ( molti bambini soffrivano a causa dell’umidità di malattie polmonari,
ed erano pieni di pidocchi), strutturammo un locale per i giochi e per le
riunioni, la domenica e durante tutto l’arco della settimana la nostra presenza
era assidua, organizzata. Organizzammo con le famiglie una battaglia per avere
contratti d’affitto equi, perché pagassero il giusto, denunciammo legalmente il
proprietario per il suo comportamento e per la non applicazione della legge di
Equo Canone, che non era ancora stata
approvata e che vedeva migliaia e migliaia di famiglie costrette a vivere ai
margini della città in tuguri e
baracche, e che fu poi approvata a seguito di forti lotte di inquilini e
lavoratori e sindacati per la riforma della casa, qualche anno più tardi. La
battaglia legale la vincemmo con le famiglie stesse, aiutati dalle ACLI e dal
Sindacato facendo in modo che le stesse non pagassero quegli affitti da rapina
se paragonati ai redditi e ottenendo per l’assegnazione di alloggi popolari.
L’impegno di alcuni divenne in
molti casi l’impegno di molti, l’esperienza di Emmaus con la gestione presso
una grossa cascina alle porte di Milano, zona Ortica, con la raccolta di
rottamaglie, mobili vecchi, vetro, vestiti, che venivano risistemati e riparati
e rivenduti nei mercatini dell’usato per raccogliere fondi per progetti in
Africa o nel Terzo Mondo, sotto la guida illuminata dell’Abbé Pierre. Emmaus
inoltre rappresentava la possibilità di recuperare ragazzi caduti nella
malavita a causa delle loro condizioni sociali, e vi fu una collaborazione con
ragazzi che erano stati in galera al Beccaria perché minorenni.
Battaglie sociali come
l’autoriduzione delle bollette ENEL che in quel tempo erano state aumentate di
molto per decreto governativo, incidendo parecchio sui salari dei lavoratori,
si unirono all’ organizzazione di iniziative di sostegno finanziario ai popoli
soggetti a guerre di liberazione coloniale o a guerre imperialiste come quella
del Viet-Nam.
Iniziative determinanti furono
fatte dal Gruppo affinché si costruisse un luogo di aggregazione e
socializzazione per i giovani del Paese, lungamente ci si batté impegnandosi
nel volontariato, con la gestione di prestiti librari, facendo aumentare di
molto gli investimenti in acquisto libri, ma anche organizzando attività di
spettacolo, sia diretto con la costituzione di gruppi di teatro locali, sia con
l’organizzazione di momenti di cultura teatrale o musicale nell’unico luogo che
allora era possibile utilizzare, la vecchia palestrona scolastica di via Piave.
Da queste molteplici attività nasceranno più tardi il Gruppo Teatro Bussero,
Caravan de Vie, il Maggio Teatrale Busserese, che hanno fatto scuola anche in
altre realtà, valorizzando il protagonismo culturale giovanile locale, e poi i
cineforum i gruppi d’interesse ( acquariofili, pittori e tanti altri ) e la
ristrutturazione della Curt di Boss che divento l’attuale Biblioteca Comunale
di Via Gotifredo, una tra le biblioteche più attive e partecipate.
Per qualche tempo le iniziative
sociali del Gruppo Aperto vivevano di vita propria, come quella
dell’organizzazione di uscite pubbliche per la notte di Natale, con
volantinaggi esprimenti solidarietà con le genti affamate e il richiamo alla coerenza dei cattolici, e la formale
solidarietà all’addetto dell’ATM presso la Stazione della MM2 che allora era
distante e isolata dal nucleo abitato, portandogli, panettone e spumante per
festeggiare insieme, mentre l’organizzazione più politica del gruppo,
soprattutto di una parte di questi, come io, Valerio, Giuseppe Galbiati,
Giuseppe Villa, Giovanni suo fratello e Stefano Banfi. Si partecipava più di
altri alle manifestazioni che a quel tempo quasi settimanalmente venivano
organizzate a Milano, si cominciava a discutere di politica, cambiamento
sociale, lotte di studenti e di operai, di internazionalismo, di sindacato, si
organizzava una rete di gruppi che via via si formavano negli altri Paesi della
Zona, si partecipava alle occasioni antifasciste della zona, come a Pessano, a
Cassano d’Adda, si faceva ampio uso della controinformazione tramite
volantinaggi, pubblicazioni periodiche e affissione di dazebao, di comunicati
di lotta e di sostegno alle stesse, si cominciava a partecipare alle iniziative
sindacali da parte di ciascuno di noi lavorasse in fabbrica,le donne, formarono
attraverso i gruppi di autocoscienza le basi per la creazione del Collettivo
Donne, per fare battaglie per la
liberazione della donna, dalla oppressiva cultura bempensante, che le voleva
vedere solo come “angeli del focolare”,
sempre e comunque subordinate ad una società ( famiglia, scuola e lavoro )
dominata dai maschi e dal maschilismo.
Fino alla nascita del Gruppo de “ il manifesto” che nacque in forma
organizzata proprio in quell’anno dopo la radiazione del gruppo di deputati dal
PCI accusati di “frazionismo” in realtà perché portatori di una linea
alternativa all’allora gruppo dirigente comunista molto legato ancora all’URSS
nonostante la recente invasione di truppe sovietiche e del Patto di Varsavia,
in Cekoslovacchia, con l’uccisione in culla dell’ipotesi dubcekiana di
“socialismo dal volto umano”. Una premonizione che 20 anni dopo avrebbe portato
inesorabilmente al crollo del sistema sovietico.
Ma da allora fu tutta un’altra
storia, fatta per alcuni di scelte diverse ed individuali, mentre per molti di
impegno politico a tutto tondo e di esperienze amministrative significative che
cambiarono il volto e la cultura di
questo Paese. Creando le condizioni in
una proficua collaborazione con i compagni storici del PCI e del PSI locali di
una cittadina civicamente, culturalmente e urbanisticamente vivibile, per anni
e anni esempio di buona politica amministrativa.
Vitaliano Serra
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