lunedì 19 settembre 2016

A proposito di supermercati aperti h24

Il problema é ovvio non sta nel tizio o caio che va a far la spesa in un supermercato della grande distribuzione che resta aperto, e chi se la prende con uno dei due o tutti e due certamente sbaglia il bersaglio, ma questo fa parte della distorsione della realtà di cui i social sono uno strumento. Il vero problema ben più complesso sta invece nel meccanismo micidiale capitalista che tende ad omologare al ribasso sia chi lavora sia chi compra, considerando entrambe le categorie ( in gran parte sovrapposte le une alle altre ) come meri oggetti di consumo, esclusivamente come soggetti funzionali al profitto. Così facendo e mercificando ogni cosa, si mercifica anche la dignità delle persone, l'umanità di cui fa parte o dovrebbe farne parte anche il diritto di chi lavora costretto dal bisogno di un salario, spesso anche insufficiente e/o precario, a rinunciare a pezzi importanti, fondamentali, della propria vita ( la famiglia, le amicizie, le relazioni, per chi l'ha l'aderenza alla propria fede, ecc ecc ) per soddisfare banalissimi quanto inutili bisogni indotti dal circo mediatico del marketing pubblicitario al fine di far crescere a dismisura i profitti di pochi. Qui sta la vera stoltezza dell'idea che si va sempre di più strutturando di un mercato a ciclo continuo h24 in cui tutto, ma proprio tutto debba funzionare per vendere, per far comprare, per creare profitto, senza una vera ragione che lo renda necessario. Una bulimia capitalista no limits. Forse sarebbe il caso di ripensarci, fermarci, se ne siamo ancora in tempo. Forse anche Morandi sarebbe d'accordo.

lunedì 5 settembre 2016

Resilienza ed Empatia : adattarsi o cambiare ?

Resilienza ed Empatia : adattarsi o cambiare ?
http://megachip.globalist.it/Images/pix.gif
Sono sempre più comuni sui media i richiami alla resilienza, una caratteristica del comportamento umano richiamata all’origine dalla metallurgia e riferita alla capacità di un metallo o di un materiale a resistere ad un urto traumatico senza spezzarsi.
Quella che nelle tradizioni culturali occidentali più antiche viene  più correntemente denominata resistenza cioè la capacità di essere fermi e saldi contro una forza che si oppone, senza lasciarsi abbattere, oggi  va più di moda, anche nei comportamenti, la resilienza.
Oggi si parla di "comunità resilienti" ad esempio nel caso della comunità di Detroit a seguito della crisi dove, dopo il crollo della General Motors e la brutale deindustrializzazione, la città si è svuotata dei suoi abitanti e il Comune ha dichiarato bancarotta.
Il significato è esplicito: piegarsi per resistere meglio ma senza correre il rischio di spezzarsi, andare oltre ( ma di quale oltre si intenda non sempre si capisce bene !). E la sua apparizione nel dibattito attuale è dovuto alla psicologia.
Spesso la resilienza viene coniugata all’altra parolina magica: ottimismo.
L'ottimismo assume differenti configurazioni a seconda della cultura di appartenenza. Si è più o meno ottimisti, o pessimisti, per via dell'appartenenza a una comunità o ad un'altra.
Nella società nordamericana il benessere soggettivo è quasi un obbligo sociale, un mandato sociale. La ricerca della felicità, scritta nel DNA di quel paese persino nella sua Costituzione ( che per farlo notare ai nostri “affrettati e confusi riformatosi costituzionali” che affermano che la nostra Costituzione è vecchia avendo “ormai” 70 anni, in realtà di anni ne ha  ben 229 !), costituisce lo scopo ultimo della vita degli individui: autoaffermazione, autostima, autogiustificazione sono caratteri ben presenti in quel paese; l'individualismo infatti necessita di una forte dose di ottimismo e naturalmente di egocentrismo. Una psicologa, Edith E. Grotberg, studiosa di resilienza, ha proposto un modello per il mondo infantile per superare le situazioni traumatiche fondato su: I have, I am, I can (io ho, io sono, io posso). Come non sentire in questo l'eco dello stesso slogan elettorale di Obama?
Al contrario, come nelle democrazie europee, in società caratterizzate da un sistema sociale più sobrio, severo,  autorevole  se non proprio autoritario,  comunque disciplinato, in cui prevale la collettività  e l’individuo è compreso ma non dominante, si dice prevalga il pessimismo.
In Cina, invece, l'impronta lasciata dal confucianesimo nella cultura sposta dall'individuo alla società la spiegazione degli eventi, e consente di perseguire una teoria del cambiamento ciclico: è la via orientale all'ottimismo.
Non sono in grado di affermare se questa seconda strada sia migliore della prima per affrontare una questione assai complessa, ma é interessante per valutare le diverse reazioni umane allo stato di crisi che ha colpito il Sistema-Mondo  a trazione capitalista con l’esplosione guidata dall’economia liberista, e in particolare i paesi occidentali, ma credo che forse ci sia un’altra ipotesi percorribile per un’umanità che nella sua stragrande maggioranza subisce pesantemente  i contraccolpi della crisi, nelle sue varie accezioni – finanziaria, economica, produttiva, ambientale e culturale – si chiama  empatia cioè la capacità di comprendere a pieno lo stato d'animo altrui, sia che si tratti di gioia, che di dolore. Empatia significa "sentire dentro", o "mettersi nei panni dell'altro", ed è una capacità che fa parte dell'esperienza umana ed animale.
Paradigmi, quelli della resilienza e dell’empatia, che s'avviano a diventare nei prossimi anni temi centrali nella politica, oltre che nel sociale e nell’economico, nell'autorganizzazione delle singole comunità.

Credo che la sinistra ( critica e pensante in quanto appunto critica ) dovrebbe cominciare a pensarci per rimettere all’ordine del giorno la necessità di socialismo, quale solo sistema sociale capace di far prevalere gli interessi generali, su quelli particolari, dare rilevanza al noi, riscoprire “gli altri” come  condizione necessaria per un più pieno e completo sviluppo di noi stessi.